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Tornado elettorale

08/04/2004

No, non credo all’onda lunga socialista. E non credo che il pacifismo sia la discriminante politica decisiva in questa serie di rovesciamenti elettorali in Europa. Aznar è stato punito per lo sfruttamento vergognoso dei 200 morti di Madrid. Schroeder, pacifista a oltranza, prende mazzate ogni volta che si aprono le urne. L’alleato di ferro di Bush, Tony Blair, è in testa nei sondaggi a dispetto di un’opinione pubblica contraria alla guerra. Chirac ha fatto l’anti- americano e perde. Essere contro la guerra in Iraq non salva la destra e non premia la sinistra… Nella sua casa romana, Giovanni Sartori esorcizza le illusioni con il suo consueto esercizio analitico. Il suo ultimo libro, "Mala tempora" (Laterza), veleggia verso le 50 mila copie. Fra pochi giorni uscirà dal Mulino la quinta edizione di un suo libro ormai classico, "Ingegneria costituzionale comparata", con un’appendice inedita dal titolo provocatorio: "Verso una costituzione incostituzionale?". Negli ultimi tempi, Sartori si è trasformato nel più aspro nemico delle invenzioni costituzionali della Casa delle libertà, nel censore del conflitto d’interessi, nella vox clamantis in deserto contro la democrazia ingabbiata dal monopolio berlusconiano dell’informazione. L’Italia come l’Europa? Siamo anche noi alla vigilia di un cambio radicale di indirizzo politico? «Meglio andarci piano. Il primo aspetto di cui tenere conto è che l’esercito berlusconiano sta marciando a tappe forzate verso la propria riforma costituzionale. Si procede alla trasformazione del sistema parlamentare, con una formula, l’elezione diretta del premier, che è stata sperimentata disastrosamente in Israele e abbandonata dopo tre prove. Con conseguenze che possono essere catastrofiche per l’assetto costituzionale e politico». Si è sostenuto che la ristrutturazione federale impone il rafforzamento del potere centrale. «È una trovata estemporanea: una volta che i poteri siano devoluti alle entità "federali" rafforzare il centro non significa nulla. Si tratta di due realtà diverse, ognuna con le sue prerogative. Rafforzare l’esecutivo si può e va fatto, anche se c’è l’"unicum" rappresentato da Berlusconi. Il Cavaliere passa e le istituzioni restano. Ma per razionalizzare il sistema bastano due misure: da un lato una struttura gerarchica più forte, con il premier che sia il solo a essere investito dalla fiducia parlamentare, e con la possibilità di nominare e rimuovere i ministri; e dall’altro la sfiducia costruttiva, che elimina le crisi extraparlamentari». Invece stiamo inventando il premierato a elezione diretta. «A dire la verità lo aveva inventato D’Alema alla Bicamerale, ritagliandolo su se stesso. Il centrodestra lo ha sviluppato in modo micidiale, prefigurando una sorta di premierato dispotico: cioè uno strapotere non bilanciato da altri contropoteri. E se cade il principio della delimitazione dei poteri, ciò significa la sconfitta del criterio "quis custodiet custodies?", e la violazione dei principi di fondo del costituzionalismo. Il presidente della Repubblica perde la facoltà di nominare il primo ministro e di sciogliere le Camere; perde anche il potere di controllo sull’iter legislativo, garantito dalla controfirma, e di rinviare le leggi alle Camere». Tanto più che il sistema maggioritario permette la formazione di maggioranze in grado di eleggere il "proprio" capo dello Stato. «Il presidente della Repubblica può essere catturato dalla maggioranza. Con questo si sterilizza anche la nomina delle authority, e si incamera anche la nomina dei giudici costituzionali. Non esiste più un contropotere. Se aggiungiamo che controlla e manipola tutta l’informazione televisiva, quindi è in grado di vincere sempre, le conseguenze per la democrazia sono gravissime». L’opposizione è nettamente svantaggiata. «Non solo. C’è l’impossibilità di raggiungere una verità di fatto. Sui dati concreti. Hanno potuto sostenere che la legge sull’immunità per le alte cariche dello Stato c’è in tutta Europa, e non è vero. Quando ho richiamato la legislazione sul conflitto d’interessi negli Stati Uniti, hanno fatto finta di non capire. Le sembra una situazione europea? Prima di parlare dell’onda lunga di sinistra bisognerebbe osservare se c’è la possibilità di un’opinione pubblica libera». A sinistra non sembra esserci una consapevolezza sulla drammaticità della situazione. «Sbaglia anche la sinistra. Siamo all’assurdo che sul premierato esistono due progetti, il progetto Tonini, per la sinistra, e il simultaneo progetto Malan, per la destra. Sono uguali. Uguali. Il che mi fa pensare che i misteri non sono solo in Danimarca». Non era meglio copiare un modello europeo? «Certo, il semipresidenzialismo francese, il sistema parlamentare inglese, il cancellierato tedesco con la sfiducia costruttiva. Così ci avventuriamo in un terreno ignoto, e distruggiamo il costituzionalismo». Ma esisterà un razionalità nel progetto berlusconiano, un obiettivo, un’architettura… «Usare la parola razionalità mi sembra audace quando c’è di mezzo Berlusconi. C’è un disegno preciso sul potere e come conquistarlo e mantenerlo». Non avrebbe bisogno di forzature costituzionali, data la maggioranza che si ritrova. «Berlusconi fa quello che ha sempre fatto. Fa la vittima, sostiene che è paralizzato perché non ha poteri sufficienti, che gli alleati lo frenano. Anche se, quando occorre, quando c’è di mezzo un interesse personale bruciante, gli alleati votano come falangi, vedi la Gasparri. Questo alibi copre soprattutto l’incapacità di governare». Colpisce anche che alleati come An e l’Udc si dimostrino corrivi verso il federalismo imposto dalla Lega. «Non hanno alternative, vivono di voti concessi. Tuttavia ciò che mi sorprende di più è che non hanno nessun argomento, nessuno. A ogni obiezione rispondono in un solo modo: tutto ciò che stiamo facendo lo ha fatto la sinistra. In effetti la sinistra gli ha spianato la strada, con l’approvazione unilaterale della riforma del Titolo V». Secondo lei andranno fino in fondo? Oppure è un’operazione di facciata, che si insabbierà nelle letture parlamentari? «Andranno fino in fondo. Marceranno implacabili, in parte per l’istinto di predatore di Berlusconi, e in parte perché la grande riforma è il surrogato pubblicitario di un’attività di governo fallimentare». Resterà soltanto il referendum. «Difficilissimo da vincere contro le televisioni. Tanto più che la gente non ne vuole sapere, non ci capisce niente. L’assetto e l’equilibrio costituzionale sono come i mercati sotto casa o l’elettricità: la gente sa che ci sono, ma non ne conosce e non ne vuole conoscere il funzionamento. Sa che premendo il pulsante si accende la luce, non vuole sapere le teorie retrostanti. Tocca alla classe politica essere responsabile e valutare tutte le implicazioni delle riforme». In queste ultime settimane invece si sono visti sistemi democratici ottimamente funzionanti. «Sicuro: ma ripeto che non vedo onde lunghe di nessun tipo. C’è piuttosto in tutti i paesi europei un elettorato frustrato e scontento per motivi che nessun governo può controllare. La globalizzazione ha liquidato la possibilità di scaricare sul prezzo dei prodotti il costo dello stato sociale. La concorrenza globale ha messo la parola fine, e ciò spiega lo scontento degli elettorati e l’impossibilità per i governi di trattare il problema. Non si può più usare l’inflazione, e i prezzi cinesi o indiani portano a comprimere i prezzi dei prodotti europei». È una questione strutturale delle economie contemporanee. Eppure ci sono ricette di destra e ricette di sinistra. L’elettorato può scegliere fra soluzioni neoliberiste o soluzioni socialmente più equilibrate. «No, gli elettorati europei hanno aspettative che in genere non possono essere soddisfatte dai governi. È per questo che ogni governo, di destra o di sinistra, dura al massimo una legislatura, salvo eccezioni. Aznar, che pure aveva governato bene, è inciampato in un errore incredibile, lo sfruttamento politico della strage dell’11 marzo. C’era un voto pronto per il Partito popolare che si è modificato nelle ultime ore». C’è stata anche una ripresa della partecipazione elettorale. In Francia, sette punti in più rispetto alle regionali precedenti. «E poi mi obiettavano che il doppio turno provoca l’assenteismo. Storie. La partecipazione dipende dalla posta in gioco. Inoltre, in Francia la sinistra derelitta era ancora sotto il peso di avere dovuto votare per Chirac alle presidenziali, contro l’incubo Le Pen, e aveva una gran voglia di togliersi quel peso e vendicarsi. La ragione del declino della partecipazione elettorale dipende da un declino di intensità politica. Quando non ci sono più fratture profonde e conflitti ideologici la partecipazione cade. Non appena si ricrea intensità, la partecipazione risale. Quindi, quando si riacutizza lo scontro sociale, per l’insostenibilità del welfare, i cittadini vanno a votare». Ciò nondimeno è sembrato di assistere a un eccellente spettacolo democratico. La protesta che si incanala nel voto. Che spettacolo vedremo nella campagna per le elezioni europee? «Assisteremo a un bombardamento. Nessuno lo immagina ancora, siamo alle premesse. Berlusconi scatenerà un fuoco impressionante. Potrà mentire su tutto senza essere smentito su nulla. Per questo gli ottimismi "europei" sono prematuri. Meglio dire che la partita è tutta da giocare». Diversamente dall’Europa, in Italia il pacifismo può essere un criterio di voto contro il governo? «Sì, da noi può costituire la variabile determinante. In Italia c’è la Chiesa, non dimentichiamolo. Io sono critico verso quelli che ho chiamato "ciecopacisti", ma Berlusconi può perdere il voto di chi era contrario alla missione in Iraq». Non le piacciono, i pacifisti. «C’è chi vuole la pace e intende perseguirla, e chi urla pace senza sapere come realizzarla. Achille Occhetto mi ha detto che oggi il motto latino "si vis pacem para bellum" va rovesciato. Gli ho risposto: guarda che hai ragione. Rovesciando, viene fuori: se vuoi la guerra, prepara la pace. Mi sembra il giusto epitaffio sul pacifismo irreale».

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