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Trap ha fatto flop

01/07/2004

Ci sono voluti i brogli dei sinistri scandinavi per liquidare dal campionato europeo l’Italia per bene: due eserciti di professionisti della politica e della diplomazia, Svezia e Danimarca, che hanno fatto l’inciucio ai danni di tutti noi, e hanno ridotto Trapattoni alla stregua di Berlusconi. "Bolliti" è una parola odiosa, e prima di parlare della bollitura bisognerebbe dire che era difficile immaginare che una coalizione danese decidesse di fare un favore all’Italia calcistica dopo essere stata sputazzata in faccia e colpita con un fallo di ritorsione teppistica da parte dell’iper- italiano Pupone Totti, eroe negativo e autentico "hijo de sputa" del penoso esordio con la Danimarca. Il sillogismo etico della compagine italiana seguiva questa concatenazione logica. Premessa maggiore: prima vi sputiamo in faccia, con il conforto di Oriana Fallaci che in prima pagina sulla "Gazzetta dello Sport" argomenta che lo sputo a Poulsen non bastava, sarebbe stato meglio assestargli un colpaccio nelle parti basse. Premessa minore: poi ci si appella alla sportività e alla cultura delle squadre del Nordeuropa, non dei machiavellici come noi, perché "facciano la partita" anziché la torta. Conclusione: l’Italia passa il turno, vince tutti i confronti diretti e trionfa per diritto divino in Portogallo, con gli opportuni ringraziamenti alla Madonna di Fatima (anche se insultata porcamente dal labiale di Bobo, poco Christian, Vieri). Se bolliti non piace, dato che l’estetica è l’estetica, diciamo lessati. Lessato il Trap che ha inseguito lo schema bearzottiano di privilegiare il gruppo, come se esistesse un gruppo, forse senza nemmeno accorgersi che la leadership l’aveva assunta il capo della fazione milanista, "Ringhio" Gattuso: il quale aveva addirittura dettato in una conferenza stampa la formazione e il modulo tattico della squadra, suggerendo o imponendo l’utilizzo di Pirlo. Capito, la leadership? In realtà lo schema calcistico migliore lo aveva esposto l’ex Rombo di tuono, Gigi Riva: «Ai miei tempi correvamo dietro alle ragazze, adesso sono le ragazze che corrono dietro ai giocatori». È per questo che la nazionale italiana, detto senza alcun moralismo, è così perfettamente all’avanguardia stilistica del calcio mondiale, con le treccine di Totti, le basette affilate di quasi tutti, le acconciature perfette, i tatuaggi, gli orecchini. In tutto questo si vede la «fessaggine mesta», avrebbe detto Gianni Brera, degli italianuzzi, divi in patria e spoetizzati fuori: perché se perdi in campo per deficit tattico, cattiva forma, scarsa classe, questo appartiene alla fatalità e al campo; ma al povero tifoso che vede un gioco miserrimo, e giunge a pensare che la nazionale del Trap era la peggiore dell’Europeo (vabbè, in fondo alla scala dell’orrido c’era la Bulgaria; ma, per dire, anche la Svizzera ha avuto sprazzi di gioco più interessanti), quando l’Italia va a casa viene voglia di strappargliele, le treccine, e di depilarli a freddo, i divi, con strappi incrudeliti dalla delusione. Lessato anche Carraro, una specie di ministro Sirchia prestato al calcio, lessati anche i giocatori, che erano volati in Portogallo caricando quintali di pasta e pomodoro, senza dimenticare i biliardini, per i momenti di relax: tanto per segnalare che la preparazione della trasferta lusitana era stata perfetta, attenta a tutte le sfumature psicologiche dei "nostri ragazzi", poveri cari. A questo punto non vale la pena di fare mattane: ci penseranno gli ultras, alla ripresa del campionato, ad accogliere Del Piero e soci con l’invocazione antipatriottica "una, dieci, cento Guimaraes". In realtà di Guimaraes ne dovrebbe bastare una sola, se servirà a fare piazza pulita e a ricominciare da capo, senza i lessati. Per cominciare, ci vorrà un commissario tecnico in grado di capire che i tornei internazionali sono storia a sé, sono lunghi episodi circoscritti, in cui la gloria è un peso se non è sostenuta dalla condizione atletica. Nel 1978 il conservatore Bearzot fece esordire al Mondiale argentino due giovanissimi, Rossi e Cabrini, esibendo forse il miglior calcio del torneo. Nel 1982 in Spagna cominciò la lunghissima carriera del diciottenne "zio" Bergomi. Per stare all’oggi, Sven Goran Eriksson non ha avuto esitazioni a dare spazio al distruttivo attaccante dell’Everton Wayne Rooney, fisico da proletario inglese, potenza e tecnica, diciannove anni a ottobre. E nel Portogallo di Scolari si comporta benissimo il diciannovenne Cristiano Ronaldo, detto "l’apriscatole". Qui da noi, il Trap non ha chiamato in nazionale il bomber Gilardino, killer in campionato, forse per non destabilizzare i suoi amati vecchi, Del Piero e Vieri, oppure, chissà, perché con i suoi 22 anni sarà ancora immaturo, anche se ogni palla che tocca la sbatte dentro. E se avesse potuto non avrebbe fatto giocare Cassano, che si è dimostrato uno dei pochi vivi tra gli zombie titolari. Poi c’è lo stile. Oltre agli sputazzi e ai bestemmioni ripresi dalla telecamera "dedicata" (dedicata alla Madonna, probabilmente), ecco l’esternazione catastrofica di Bobo Vieri: «Sono più uomo io di tutti voi messi insieme», senza nessuno che abbia risposto «mandaci tua sorella», ma con tutti che hanno ripercorso mentalmente la catalogazione di Sciascia, uomini, mezzi uomini, ominicchi, piglinculo e quaraquaquà, collocando ogni azzurro nell’apposita categoria. E a proposito di stile, va segnalato anche il fondamentale apporto di Carraro, cotto al vapore con le verdurine, talmente ben cucinato che occorrerà mandarlo ai supermercati per rinfrescarsi vicino al banco frigo, il quale ha concluso il suo secondo disastro dopo il Mondiale in Estremo Oriente sostenendo che «abbiamo fatto una figura decorosa». Certo, il Trap si è superato dicendo che «usciamo a testa alta». Ma qualcuno dovrà spiegare per quale motivo una potenza calcistica come l’Italia di Forza Italia trova sempre un arbitro come il Byron Moreno della disfatta coreana o come Ivanov, il «moscovita» (così definito dal cronista Rai) della partita con la Bulgaria, che dà il rigore agli altri e non lo dà ai fenomenali italiani. Adesso la parola d’ordine, dettata da Giorgio Tosatti, autentico martello di Trapattoni sul "Corriere della Sera" è "ridimensionare". Ridimensionare il settore, l’alone mediatico, le polemiche, le solite cretinate sul "campionato più bello del mondo". Visto che le due grandi escluse sono per ora ltalia e Spagna, viene anche il sospetto che sia agli sgoccioli un calcio divistico, amplificato dagli sponsor e dilatato dal look. Alla fine conta il responso del campo, non il glamour. «Di sette partite ufficiali tra Mondiali ed Europei», ha scritto Gianni Mura su "la Repubblica", «incontrando Ecuador, Croazia, Messico, Corea del Sud, Danimarca, Svezia, Bulgaria, l’Italia di Trapattoni ha vinto solo la prima e, nei minuti di recupero, l’ultima. Qualcosa vorrà pur dire». Già, qualcosa vorrà dire, questa distanza abissale fra l’immagine e la realtà. Non possiamo più neanche dire, come disse Arrigo Sacchi, «ci hanno battuti i risultati, non il gioco». Ma aggrappiamoci ai brogli, qualcuno ci crederà.

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