gli articoli L'Espresso/

Tsunami Romano

27/10/2005

È la storia, bellezze. L’onda anomala di 4 milioni e 300 mila volonterosi che fa piazza pulita dei cincischiatori, dei prudentini, dei sostenitori mascherati del proporzionale, dei fautori della defezione in nome dell’interesse comune. Con la ciliegina di 7 mila votanti che hanno impegnato una domenica, hanno fatto la fila, versato un euro per poi depositare nell’urna una scheda bianca, fenomenale esempio di adesione allo schieramento e di scetticismo per le scelte. Per questo il leader dimezzato, il candidato senza partito, l’amministratore del condominio (copyright Ilvo Diamanti), insomma il professor Romano Prodi, adesso può contemplare con soddisfazione il panorama tutto inedito che si è formato dopo lo tsunami politico di domenica 16 ottobre. Intere strategie sono finite nel retrobottega, roba vecchia. Sarà che il popolo dell’Unione ha continuato a ragionare con il modulo maggioritario anche nella prospettiva della proporzionale, dopo il colpo di mano della maggioranza di centro-destra: «E si sa che il popolo è un’entità ostinata», dice Arturo Parisi, massimo guru delle primarie, piccolo grande cerimoniere del riassemblaggio politico nel centro-sinistra. Difatti è bastata una sola domenica di sole, un’ottobrata mite e famigliare, per spalancare di nuovo il sole sui destini dell’Ulivo. Con risultati impressionanti. Perché l’onda anomala, la cui cresta era stata percepita nei giorni precedenti ma non rivelata dai sondaggisti nel timore di sbagliare grossolanamente le previsioni, ha spazzato via una serie amplissima di illusionismi. Non erano inutili, le primarie? Non servivano soltanto come rito per incoronare un candidato già scelto, e magari accettato a malincuore? Non c’erano i rischi di inquinamento pro-bertinottiano o pro-mastelliano da parte della destra più fantasiosa? E in fondo: ma visto che la voce grossa contro il ritorno alla legge proporzionale non era servita a niente, e il centro-destra si era ricompattato, e l’intellettuale Marco Follini aveva dovuto cedere il campo ai suoi soci più sbrigativi, non si era capito che l’esimio professor Prodi, il tecnocrate europeo, l’uomo senza partito, non serviva più a niente, se non come bandierina sfilacciata, più un consulente di governo che un protagonista della lotta politica? E invece, invece. La prima conseguenza era che l’orologio politico del centro-sinistra si rimetteva a zero. Archiviato il durissimo confronto apertosi con l’iniziativa di Francesco Rutelli, che si era concluso con l’abbandono della lista unitaria, e che ai prodiani più radicali aveva fatto pensare a un’eccessiva arrendevolezza di Prodi. Derubricati tutti i progetti neocentristi, cioè gli esercizi politicanti di questi ultimi mesi: eppure agli occhi dei più sospettosi il nuovo sistema proporzionale era stato costruito proprio per rendere possibile il raggruppamento al centro. In un sistema che assegna il premio di maggioranza alla coalizione maggiore, si può benissimo programmare un raggruppamento centrista. Ne aveva parlato a caldo Giuliano Amato, individuando i rischi di un sistema tripolare, con un Centro in grado di praticare la vecchia e funzionalissima politica dei due forni: funzionalissima ai fini della eternità dell’occupazione del potere, e di alternanze gestite eventualmente per via oligarchica. Ma si intravedeva addirittura la possibilità di un polo centrista autonomo, capace di tagliare le ali e di governare da solo per sempre, naturalmente dopo avere fatto saltare il confine bipolare. Una prospettiva entusiasmante per tutti coloro che con la denuncia delle insufficienze del sistema maggioritario intendevano favorire il grande rimescolamento. Tutto finito. Battuta sul campo l’idea che un giorno non troppo lontano sarebbe arrivato il Cavaliere bianco, sotto le spoglie di Luca Cordero di Montezemolo, e attraverso le mediazioni sapientissime di Pier Ferdinando Casini, per costituire un governo adeguato alla modernità, in grado di fare le riforme che «il sistema bipolare non riesce a fare», o almeno di assicurare una continuità post-dorotea molto rassicurante per i poteri forti. Dissolta anche la sottile strategia diplomatica del cardinale Ruini, intesa a trovare radicamenti e sintonie nel centro in via di rinascita, in attesa di una scintilla soprannaturale che ridesse vita a una nuova casa comune dei cattolici. Dimenticate improvvisamente tutte le differenziazioni, gli strappi, gli scazzi degli ultimi mesi: il colpo di Rutelli sulla bioetica, subito prima del referendum sulla fecondazione assistita; il "no" ai Pacs, dopo che Prodi si era esposto in modo estemporaneo con la lettera a Franco Grillini. E archiviato anche il «gran recupero» del centro-destra, avvenuto non tanto nell’opinione pubblica quanto nel clima euforico della tenuta parlamentare sul campo potenzialmente minato della riforma proporzionale. Il punto è che una buona parte dell’opinione pubblica di centro-sinistra ha voluto esprimersi direttamente, e dire la sua su ciò che stava avvenendo. I giudizi dell’elettorato non sono mai un distillato di purezza, dato che insieme alla riflessione puntuale convogliano sentimenti irriflessi. Ma uno di questi sentimenti, forse quello prevalente, suonava così: attenzione, qui è all’opera una cupola che sta tentando l’esproprio. Cioè il furto con destrezza del risultato elettorale. Ma non solo: ci siamo dimenticati che i cittadini avevano liquidato il proporzionale e si erano presi il maggioritario attraverso due referendum? E allora, per tornare alle sottigliezze della scoppoliana "Repubblica dei partiti", al sistema delle elezioni basate sullo zero virgola, era sufficiente un pronunciamento di una fazione parlamentare, all’improvviso solidale nel tentare il furto con destrezza ai danni del popolo, e del popolo di centro-sinistra in particolare? Dopo di che, è ovvio che il centro-sinistra ridiventerà un cantiere. Lista unitaria, partito riformista, partito democratico. Ma non perché abbia cambiato idea il popolo: piuttosto perché anche le strutture politiche non possono restare indifferenti al pronunciamento popolare. «Domenica scorsa è avvenuto un miracolo», dice uno dei prodiani più ostinati, il braccio destro Giulio Santagata, «e adesso bisogna tornare nella normalità». Purché si sappia che la normalità è quella rilevata ancora prima delle elezioni europee, e quindi dell’esperienza del Listone, dalle indagini dell’Istituto Cattaneo: e cioè che esiste un’Italia che si sente davvero di centro-sinistra, senza troppe sfumature, e che resta indifferente rispetto alle identità di partito. «Evidentemente», dice Prodi, «qualcuno si era dimenticato che l’Ulivo aveva messo radici nella società italiana». Anzi, secondo ricerche sociologiche ulteriori esistono fasce di elettorato per le quali la semplificazione dei partiti e dei simboli costituisce un fattore di attrazione. Tanto che adesso i prodiani, a partire da Parisi, restano su posizioni oltranziste: è sufficiente il varo della nuova lista unitaria fra la Margherita e Ds? Subito dopo la carica dei Quattro milioni, il segretario della Quercia, Piero Fassino, ha detto: «È un primo passo». Ma ha anche aggiunto: «È chiaro che non può trattarsi soltanto di un espediente tecnico. In un panorama proporzionale, che privilegia le differenze, un’esperienza politica unitaria si qualifica in base al suo contenuto politico». Vale a dire che occorre un valore aggiunto di credibilità programmatica. D’altronde, Prodi lo dice e lo ripete: «Noi il programma l’abbiamo presentato. Non è stato letto, ma le priorità sono indicate con chiarezza. E ci sono dodici commissioni al lavoro». Nel frattempo i vecchi "pontieri", come Enrico Letta e Pier Luigi Castagnetti, sono tornati a far sentire la loro voce. Dario Franceschini ha riscoperto la sua vena ulivista. L’orologio della politica si risincronizza con il momento in cui il simbolo dell’Ulivo sembrava poter fondere culture storico-politiche diverse e in passato contrapposte. Sette anni fa, nell’"ottobre nero" di Prodi, il primo governo dell’Ulivo veniva abbattuto. Nell’ottobre rosa del 2005, la storia sembra ricominciare da capo: e tutto perché la piccola borghesia moderata, il popolo della sinistra, certi banchieri invisi a Berlusconi, qualche suora, diversi preti, hanno deciso che valeva la pena di sacrificare una domenica e santificare l’Unione.

Facebook Twitter Google Email Email