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Ue che frenata

28/11/2002

Germania motore immobile, locomotiva sul binario morto. Il cuore dell’Europa paralizzato dalla combinazione di bassa crescita, alta disoccupazione, deficit in ascesa. Con l’intera Unione europea che risente della linea piatta del Pil tedesco. Che cosa sta succedendo nella patria del modello renano, e che cosa accadrà alla ripresa europea? Nella sua casa di Bologna, Romano Prodi cerca le parole, un concetto da comunicare. Proprio in coincidenza con la conclusione del Social Forum di Firenze ha dichiarato che il "pensiero unico" è tramontato, e che in Europa c’è un clima intellettuale nuovo. Eppure qualcuno sta parlando di "trappola della liquidità", come in Giappone, e i tempi della ripresa sono imprevedibili. «Che l’Europa abbia un tasso di crescita inferiore agli Stati Uniti è un dato di fatto, ma bisogna sforzarsi di riflettere su orizzonti più ampi». Vale a dire che verosimilmente non c’è una ricetta immediata per ridare competitività e impulso alle economie europee. Il formulario delle riforme è una strumentazione troppo meccanica per essere convincente. E il presidente della Commissione europea lo rileva con nettezza: «Le riforme del mercato del lavoro, e anche dei mercati finanziari, così come su un altro piano gli interventi nel sistema dei trasporti sono una condizione necessaria, assolutamente necessaria, ma non sufficiente per una ripresa economica di lungo periodo». Sia per la Germania sia per l’Europa nel suo complesso «occorre interpretare a fondo il momento storico attuale», cogliendone le particolarità. Secondo Prodi, le riforme vanno realizzate o completate perché sono rese ineludibili dal cambiamento della struttura della popolazione. L’invecchiamento e lo stallo demografico impongono un ripensamento del welfare state: «Ma il problema di fondo, prendendo la Germania come esempio europeo, è che occorre ridare dinamismo a una società rinsecchita, chiusa, ripiegata su se stessa». Quindi non c’è soltanto l’urgenza delle riforme economiche: «Il problema è l’adattamento alla realtà nuova, e l’adattamento non investe solo alcuni aspetti specifici ma tutto l’insieme. Ciò significa che occorre trovare la capacità di rimobilitare le risorse di tutto il sistema Germania e del sistema Europa». Sembra di risentire il Prodi professore che seduceva le platee con la sua intensità di visione, con riflessioni tutte rivolte al futuro, fuori dalle contingenze politiche. Sostiene infatti che il punto cruciale consiste nel ritrovare una frontiera, e soprattutto innescare una nuova «fermentazione» della società, attraverso la quale si mettano nuovamente in circolo energie nel corpo europeo. Proviamo ad approfondire. «Da noi, in una società chiusa, la società non fermenta, non è percorsa da innovazioni significative. Uno degli indizi più esemplari di questa bonaccia senza prospettive è che l’Europa non attrae cervelli dal resto del mondo. Non c’è immigrazione qualificata. L’immigrazione qualitativamente migliore si rivolge agli Stati Uniti. Si guarda con sospetto, ad esempio, agli immigrati di cultura islamica, ma non c’è invece la consapevolezza del fatto che, anche nel caso dell’immigrazione islamica, la migliore va negli Usa, e aiuta la crescita del sistema americano». Ciò significa che in Europa manca una politica dell’immigrazione, e che anzi talvolta si fraintende il ruolo possibile degli immigrati: trattandoli come manodopera di basso livello, vincolandone la presenza a un lavoro che quasi sempre è un lavoro sottoqualificato, si perde di vista l’apporto che essi possono dare allo sviluppo. Ma è difficile pensare che il problema del deficit di sviluppo europeo possa essere risolto con il ricorso all’immigrazione. No, dice Prodi, ma è uno degli elementi potenziali per fare ripartire la società europea: «Come l’allargamento. Di cui sono state comprese le ragioni storiche e politiche, ma che non sempre viene considerato nelle sue potenzialità empiriche. L’allargamento è una fonte di sviluppo possibile. In ogni caso l’occasione per una grande azione collettiva che restituisca consistenza e peso alla presenza europea nel mondo, e che anzi trasformi il nuovo dinamismo europeo nella chance per la leadership mondiale». Tuttavia, insiste Prodi, sull’argomento dell’immigrazione occorre una riflessione molto più approfondita: a cominciare dal fatto che mentre avremmo bisogno di cervelli, di agenti dell’innovazione, di fatto poi prendiamo soprattutto le badanti e i lavoratori di bassa qualificazione: un simbolo della difesa, da parte nostra, della ricchezza esistente. In questo modo si risolve un problema sociale, ma è l’opposto di ciò che serve per rimobilitare la società: «Non solo non riusciamo ad attrarre i nuovi cervelli, ma lasciamo soprattutto andare via i nostri. È un dramma italiano ma riguarda in buona misura anche gli altri paesi europei: ed è l’indicatore più visibile di un fenomeno impressionante, cioè la caduta dei livelli di ricerca, anche nel settore privato». Sembrerebbe in sostanza che in Europa non esista solo una questione economica, ma che invece ci troviamo di fronte una questione sociale. Ma Prodi specifica: «Anche se le disparità sono fortemente aumentate nel quindicennio del "pensiero unico", c’è soprattutto un problema di slancio, di dinamismo vitale. La questione sociale esiste infatti in misura maggiore in America, dove si è estremizzata: pensiamo alla disuguaglianza retributiva fra lavoratori e manager, che è addirittura esplosa. In realtà il sistema americano sta covando problemi enormi, proprio perché la sua società contiene troppi elementi disgregatori». L’idea di Prodi, quando parla della chance europea di leadership mondiale, è che le potenzialità europee sono più forti di quelle americane perché la società europea (almeno fino ad ora) non contiene gli stessi effetti disgregatori: il capitale sociale si può trasformare in capitale economico, senza gli attriti provocati da fenomeni diffusi di esclusione. «Quando si parla della crescita americana, occorre pensare che il suo tasso è stato sempre influenzato dalla crescita della popolazione, intorno all’1 per cento l’anno. Depurato da questo aspetto, l’aumento del reddito pro capite, non è molto dissimile da quello europeo. Forse in Germania la situazione appare più complicata perché oggi si è assistito a una caduta degli investimenti». È un serpente che si morde la coda. Una trappola, appunto. L’economia va male perché l’economia va male. La gente non spende perché è incerta nelle aspettative. I consumi non ripartono perché la gente non spende. Sembra una combinazione micidiale, un circuito perverso che non si riesce a spezzare. «E allora», dice Prodi, «converrebbe tentare di fare un passo avanti». Cioè ragionare in modo ambizioso. «Si può continuare a crescere secondo i parametri tradizionali, con le opere pubbliche a fare da volano? Oppure è meglio ripensare alla struttura dei consumi, al rapporto fra pubblico e privato, alla qualità dello sviluppo, vale a dire a tutte le implicazioni sull’ambiente e su alcune sfere di comportamento che fuoriescono dagli schemi classici dell’economia?». Ma per rivolgersi al futuro occorre un’economia sicura, e finora l’America ha dimostrato una forza maggiore. Secondo Prodi le sue istituzioni economiche sono state più forti: il sistema ha retto allo shock dei casi Enron e WorldCom, superando la situazione che ha fatto saltare la bolla, l’euforia irrazionale di Wall Street, cioè la combinazione di valori di Borsa in crescita perenne, processi individualistici di aspettativa di arricchimento, e alone mediatico sulla ricchezza così ottenibile. Se il sistema regge a un disastro come quello delle società di revisione implicate nei grandi fallimenti, come per il caso Arthur Andersen, se si è evitata la catastrofe dopo che «i titolari del giudizio etico, quelli che davano le pagelle», avevano fatto bancarotta morale, vuol dire che gli Stati Uniti conservano gran parte della loro forza, dei loro spiriti animali e della fiducia che fa da mastice, anche perché il loro sistema politico è stato in grado di produrre utili innovazioni legislative nello spazio di pochi mesi. «Ma se vogliamo restare all’industria manifatturiera», sostiene Prodi, «e considerare l’attuale posizione dell’economia europea, sono convinto che la domanda principale sia come ci posizioniamo rispetto all’Asia. La crescita del "capitalismo di comando" cinese è un fenomeno che non mancherà di investire i nostri sistemi, e che modifica tutto l’orizzonte della globalizzazione. Io credo che si possano facilmente spiegare a tutti i rapporti di forza fra Asia ed Europa con la semplice constatazione che il trasporto di un container da Singapore a Genova costa più del doppio di un analogo container che va da Genova a Singapore. Questo perché la merce che viene da noi è molta di più di quella che va verso l’Oriente». Un pessimista direbbe che non ci sono speranze per il vecchio mondo, e che le economie nuove schianteranno quel piccolo promontorio dell’Asia che è l’Europa. «Al contrario», ribatte Prodi: «Bisogna pensare a tutte le opportunità che si creano. Per esempio, il nostro Mezzogiorno potrebbe diventare uno straordinario tramite con l’Asia: anzi, avrebbe possibilità enormi come trasformatore finale delle produzioni asiatiche, che arrivano nel Mediterraneo attraverso Suez». Insomma, bisogna rendersi conto che stiamo attraversando non tanto una fase di assestamento, ma un passaggio d’epoca. Nelle grandi trasformazioni, tutti gli elementi della realtà vengono mobilitati dai vettori del cambiamento: «Per questo sottolineo in modo esasperato la necessità di innalzare il livello della ricerca: perché altrimenti l’Asia è irresistibile. Non è possibile iniettare sviluppo, per dire, in Germania e poi sperare che la crescita riparta in tutta Europa. Non esiste la ripresa in un solo paese. L’Europa è in ritardo: è stata capace di inserirsi nel mercato automobilistico americano, cioè su una tecnologia matura, ma nel frattempo l’America ci ha mangiato la farmaceutica e la chimica, il complesso delle scienze della vita. E oggi il fenomeno nuovo è la velocità di assorbimento tecnologico e scientifico da parte dell’Asia, a cominciare dalla Cina. È bene capirlo alla svelta».

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