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Un Pannella per tutte le ragioni

22/04/2004

Europeo, capace di richiamarsi fraternamente ad Altiero Spinelli. Americano, come le riforme politico-elettorali che ha sempre sostenuto. Fautore del maggioritario a turno unico, a dispetto dell’essere il signore di un partitino, che può allignare solo nel proporzionale, e solo grazie al suo indiscusso potere carismatico. Corteggiato a destra e cercato a sinistra, con i buoni uffici post-socialisti di Giuliano Amato. Trasgressivo e trasgressore, come nelle battaglie antiproibizioniste a base di spinelli, questa volta con la minuscola, anche se gli appellanti a favore della sua ultima battaglia, l’iniziativa per il ripristino della prerogativa presidenziale sul potere di grazia hanno scritto nel loro succinto manifesto: «Ci fidiamo di Marco Pannella e della sua storia di difensore battagliero e irriducibile della legge e del diritto» (firme di Pierluigi Battista, Ernesto Galli della Loggia, Paolo Mieli, Angelo Panebianco). Trasgressore o tutore, plagiario, eversore o garante, Marco Pannella è un’autobiografia della nazione politica. Ma c’è un legame fra l’uomo delle battaglie per i diritti civili negli anni Settanta, e l’ultrasettantenne che promuove il "Satyagraha" gandhiano e non violento, ricorrendo allo sciopero della fame e della sete, per ripristinare la legalità, vulnerata due anni fa dal mancato plenum alla Corte costituzionale e oggi da una prassi che ha reso "duale", ripartito fra il capo dello Stato e il ministro della Giustizia, il potere di grazia? Leader senza esercito, Pannella è in grado di reinventarsi a ogni stagione. Alle elezioni politiche del 1994, prima prova del maggioritario, era riuscito a farsi concedere qualche seggio da Silvio Berlusconi (ancora oggi sogghigna, con solidarietà liberista: «Io e Silvio, due cattivi ragazzi…»), ma protestando accanitamente contro chiunque sostenesse che aveva stretto un accordo con il Polo. Nel 1999, alle elezioni europee, gli era riuscito il trionfo mediatico di Emma Bonino, che aveva ottenuto più consensi dei prodiani, ma scontentando immediatamente l’elettorato che credeva di essersi espresso per il volto nuovo della fanciulla Bonino e aveva visto riapparire il ghigno del vecchio vampiro. Aprile si addice a Marco. Nell’aprile 2002 era riuscito a farsi telefonare da Carlo Azeglio Ciampi nello studio di "Buona domenica". Secondo le cronache: «Occhiaie bluastre e profonde, esausto, tormentato da una tosse che gli scuote il corpo smagrito, Marco Pannella vuota un bicchiere d’acqua e interrompe così il suo sciopero della sete sotto lo sguardo soddisfatto di Maurizio Costanzo. Applausi, Orietta Berti e Enrica Bonaccorti in piedi, il presidente della Repubblica ancora collegato in diretta…». Due giorni prima Pannella aveva scioccato l’Italia bevendo la propria urina. Allora c’era in ballo l’elezione mancata di due giudici della Consulta, scaduti da un anno e mezzo. L’ultima protesta (l’ultimo «ricatto», secondo i detrattori, «la solita barzelletta», per il ministro Carlo Giovanardi) è sorta invece sulla scia del dibattito per la grazia a Adriano Sofri. Ma Pannella ha negato ostinatamente che si trattasse di un caso particolare. In una lettera a Ciampi pubblicata sul "Foglio" del 7 aprile, dopo 60 ore di sciopero della sete, con il "collegio medico" che segnalava ogni giorno la disidratazione e i rischi per il cuore, lo ha sottolineato con forza: in gioco non c’è il «problema specifico di questa o quella concessione di grazia, ma il recupero della legalità costituzionale». L’iniziativa di Pannella ha buttato per aria la politica. Nella sua prosa, Ciampi è diventato il «principe prigioniero», a cui una corte ignava impedirebbe di esercitare la potestà costituzionale. Ha chiesto le dimissioni del massimo giurista quirinalizio, Gaetano Gifuni, liquidandolo con un ukase: «Non credo che tu possa ritenerti la persona meglio adatta per servire i dettati della Costituzione e le scelte conseguenti del Presidente». Ha messo in mezzo un Berlusconi impacciato, che già era stato brutalizzato da Giuliano Ferrara («si è consumata un’amicizia») dopo la bocciatura della legge Boato, un dispositivo per riattribuire al Quirinale il potere esclusivo di grazia. Berlusconi ha dovuto promettere che «l’orologio» del ripristino costituzionale sarebbe ripartito. Ciò ha scaraventato per aria la Casa delle libertà, con gli alleati che sono insorti contro qualsiasi provvedimento potenzialmente a favore di esponenti del «terrorismo», con Roberto Maroni in prima fila, mentre Maurizio Gasparri non ha esitato a opporre il veto preventivo a un’eventuale decisione di Ciampi a favore di detenuti in odore di eccellenza. Tutto questo, da parte di Pannella, senza mai citare Sofri, ma soltanto il potere presidenziale di grazia, articolo 87 della Costituzione, «questo gioiello giuridico, che ci giungeva da millenni». Ogni volta citando la «dottrina» e schiere di giuristi favorevoli alla sua interpretazione (e ignorando l’opinione di chi sostiene invece che il potere esclusivo di grazia sarebbe un residuo medievale, e che un sistema democratico non tollera decisioni del tutto discrezionali). Alla fine, Pannella ha bevuto. Ha incontrato il Reduce da Nassiriya. È riapparso da Costanzo, con un bicchiere d’acqua in corpo. Ha lasciato dietro di sé un caso praticamente indecidibile, nel quale dietro una misura universalistica traspare un atto ad personam. Ma soprattutto ha fatto nascere un dubbio: e cioè che il Pannella di oggi, capace di mobilitare dietro l’appello dei "terzisti" Battista & c. un variété di intellettuali e showmen, da Pippo Baudo a Milva, da Carlo Ginzburg a Bernardo Bertolucci, e di trattare un caso istituzionale dubbio come un dogma, sia ormai un uomo politico che parla alle élite, e sicuramente le influenza, talvolta le mette sotto scacco; ma chissà se parla ancora all’opinione pubblica, e se l’opinione pubblica ha voglia di ascoltare le sue strepitose manipolazioni politiche vestite da argomenti di inoppugnabile civiltà giuridica.

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