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Una vita da Indro

04/01/2001

Per lui, nato il 22 aprile 1909, l’oroscopo dice: «Spirito polemico, battuta mordace, successo conquistato con la parola e gli scritti, vivacità intellettuale fino a tarda età» ("Sirio", maggio 1994). Come tutti gli oroscopi tardivi, realizzati a fatti compiuti, è perfetto. Il giovane scrittore toscano che aveva compiuto i suoi esordi sull’"Universale" del fascista rivoluzionario Berto Ricci, ha travalicato gloriosamente secolo e millennio. Ed oggi vive circondato dalla stima amorosa di migliaia di lettori. 1) Con in genitori a Fucecchio nel 1915. Il tepore della sua famiglia piccolo borghese, ma soprattutto l’educazione antropologica di Indro in Toscana: "Nel resto d’Italia si fanno gli scherzi, da noi le burle". Senza lo strapaese della Valdarno inferiore e di Firenze, si capirebbe poco del milanese Montanelli. Sicuramente non si comprenderebbero gli scambi di lepidezze con Giovanni Spadolini e qualche elettrico duello polemico in punta di lingua con Giovanni Sartori. 2) Militare in Abissinia nel 1936. Lui lo dice: nel fascismo ci ha creduto. «È colpa nostra se, spiritualmente equipaggiati per costituire squadre d’assalto, il destino ci ha poi soltanto riservato il ruolo di guardie svizzere dell’ordine costituito?» ("L’Universale", 1933). E dopo che Mussolini, chiudendo la rivista, aveva "décapité l’aile gauche du fascisme" (Nenni), è andato in Ao, per seguire la stella dell’Impero. Notevole disfida, mezzo secolo dopo, con Angelo Del Boca sull’uso dei gas: «Io non li ho visti». 3) Inviato nel 1940. Freelance nella guerra di Spagna. Inviato dal "Corriere" nei Balcani, in Finlandia, in Norvegia. Corrispondente di guerra dappertutto. Anticonformista com’è, provoca immancabilmente casini. Gli articoli dalla Spagna sollevano un putiferio: espulso dall’ordine, esiliato. Nasce il Montanelli antiregime, una specie di spadaccino del giornalismo d’azione, costantemente sui luoghi. Grande divertimento e terribili paure. 4) Di ritorno da Budapest (con Matteo Matteotti, Ilario Fiore, Matteo De Monte e Luigi Saporito). Se il Cinquantasei è rimasto impresso nella coscienza pubblica lo si deve anche a lui, e ai suoi reportage dall’Ungheria insorta contro il comunismo. Livido e magnifico teatro, la Budapest della repressione rossa, per l’inviato di punta Montanelli. Una scena davvero da giudizio di Dio, con gli insorti che combattono a viso aperto, senza camuffarsi e sapendo che cosa li attendeva a munizioni finite. Ma senza compiere nessun tentativo di dissimulazione. L’epica giornalistica della libertà. 5) "I sogni muoiono all’alba". Era un talento che non rifiutava nessuna esperienza, dalla pamphlettistica alla storia, dalla prova "di genere" alla fiction storiografica. Con Longanesi aveva fatto il "nègre" d’eccezione interpretando Quinto Navarra, usciere del Duce ("Memorie del cameriere di Mussolini"). Anche la regia poteva essere un approdo. "I sogni muoiono all’alba" (1961) con Lea Massari e Aroldo Tieri, era tratto da una pièce teatrale sul dramma d’Ungheria. 6) Fondazione del "Giornale nuovo" nel 1974. Fortebraccio lo irrideva come "Il Geniale". Passerà alla storia come l’organo della borghesia italiana spaventata dai comunisti e da Piero Ottone. E nobilitata dal turarsi il naso montanelliano, nel 1976, per continuare a votare Dc. Ma a guardarci dentro meglio, con quelle collaborazioni di prestigio, da De Felice a Feitö, poteva già essere un foglio liberale (forse, a rileggerlo oggi potrebbe darci la sorpresa di essere meno animoso dei suoi tardi epigoni attuali). 7) Ferito dalle Br nel 1977. Quasi lo storpiano, identificandolo come il cerimoniere della repressione, delle maggioranze silenziose, del moderatume, del regime. Lui ha la fortuna di non tirare fuori la pistola. E quindi i gambizzatori lo trasformano suo malgrado in un eroe, benché la Milano superdemocratica snobbi anche le pistolettate delle Brigate Rosse e lo consideri a maggior ragione un vecchio reazionario, che se incappa in qualche pallottola, chissà, ci si può anche brindare sopra. 8) Di nuovo al "Corriere", dopo la chiusura di un altro giornale da lui fondato, "La Voce". Il gusto dell’Avvocato gli offriva "La Stampa", il genio di Paolo Mieli gli cedeva il "Corriere".Torna nelle stanze da cui era uscito nel 1974. Come se niente fosse ricomincia a dispensare editoriali. Fra una laurea honoris causa e una polemica sull’eutanasia, cerca di dimenticare che il suo vecchio amico-nemico Berlusconi vincerà, e concede ancora qualche riconoscimento alla Sinistra. 9) Con Colette Rosselli. Uno se lo immagina eternamente single, cinico sulle donne ancor più che sugli uomini. Invece, dopo il primo matrimonio, eccolo al fianco di una "magistra elegantiarum", conosciuta sotto l’eteronimo di Donna Letizia, l’unica vera dispensatrice di bon ton dopo Irene Brin. Sono in meno a sapere che Colette, dama raffinatissima mancata nel 1996, è una brava pittrice e una scrittrice sofisticata.

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