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Unione, se ci sei batti un programma

16/12/2005

Con le conferenze programmatiche della Margherita e dei Ds si è diffusa nel centrosinistra un’ondata di ottimismo, perché «adesso abbiamo il programma». Se è per questo i programmi sono due, che diventano tre se si considera l’output della Fabbrica di Prodi a Bologna, e quattro o cinque a considerare anche le proposte di Bertinotti e l’antiprogramma dei piccoli dell’Unione. La conseguenza è che i due maggiori partiti del centrosinistra si mostrano convinti che ormai il più è fatto; ma non hanno calcolato che del loro dibattito all’esterno non è rifluito nulla. O meglio, vaghe idee, riunite da un sentimento empiricamente irrilevante. Si badi bene, qui non si vuole cadere nella trappola dei "cinque punti per i primi cento giorni", evidentemente una gag alla Totò, che per motivi imperscrutabili riscuote un successo via via maggiore ogni volta che viene ripetuta, come la lettera di Totò e Peppino alla Malafemmena, punto: il problema non sono né il programmismo né i cinque punti; la questione vera e seria è un orientamento di fondo per cinque anni di governo. Eppure, tolta di mezzo l’ossessione dei cinque punti o dei cento giorni, bisognerebbe che venisse fuori una linea visibile e coerente. Finora si è assistito all’analisi della realtà italiana; adesso ci vorrebbe una prospettiva generale, un modello di riferimento, una politica da esporre al paese. Vabbè, qualcosa si è sentito. Alla conferenza diessina Pier Luigi Bersani ha fatto probabilmente il discorso della vita, e comunque l’intervento più importante della sua carriera politica, felicemente riformatore, lasciando capire che alle due cinquantenni punte future (Rutelli e Veltroni) occorrerà aggiungere anche la punta emiliana. Ma "una certa idea" dell’Italia non si è ancora sentita. Non che sia facile, perché il centrosinistra, se vincerà le lezioni, si troverà a dover gestire un paese che ha bisogno nello stesso tempo di una fortissima modernizzazione, e della ristrutturazione selettiva dello Stato sociale. L’ammodernamento dell’economia non è un problema, dato che anche se non lo promuove la politica lo realizzerà il mercato: solo che in questo caso, cioè nella prospettiva poco evitabile di tensioni nei settori produttivi, e di contraccolpi sociali politicamente insostenibili, diventa essenziale spiegare come dovrà essere cambiato, e radicalmente, il welfare: a chi dare, a chi togliere. Precipitata nel guazzabuglio del sistema proporzionale, l’Unione fatica in realtà a trovare una sintesi. Il centrodestra giochicchia con l’imbroglio delle "tre punte". L’Unione non può cullarsi nell’idea che in ogni caso "noi" siamo migliori di "loro", capaci eventualmente di gestire attraverso il consenso scelte complesse come la Tav, di risolvere con la concertazione il problema del recupero del potere d’acquisto per le fasce sociali impoverite, e di mettere in squadra ministri di professionalità infinitamente superiori a quelli della Cdl. Tutto vero o verosimile. Ma nel 2001 Berlusconi annunciò e promise. Le promesse, quasi tutte disattese, come no: il Contratto è da buttare, e i nuovi cartelloni sono generici prima ancora che minacciosi. Il Cavaliere sa che il pubblico dimentica facilmente. Tanto per dire, pochi mesi fa aveva promesso solennemente che entro la legi?slatura avrebbe riportato il debito pubblico sotto il 100 per cento del Pil; adesso il Pil veleggia disastrosamente verso il 110, e non c’è nessuno che gliene chieda conto. E tuttavia quel Berlusconi annunciava qualcosa. Un’indistinta megalomania populista, va da sé. O una circonvenzione politica. Ma ora che cosa sta annunciando il centrosinistra? Che cosa promette? Il programma sarebbe l’accordo sui Pacs "un po’ meno Pacs" e sul testamento biologico? Come ha detto nel suo anti-ideologismo Giuseppe De Rita: «I giornali scrivono dei Pacs, e i politici si convincono della centralità dei Pacs». Ma con tutto il rispetto per i simil-Pacs e i soggetti contraenti, non sarà il caso che finalmente l’Unione spieghi come intende governare la società italiana? Più tasse o meno tasse? Più pensioni o meno pensioni? Più grandi opere o più infrastrutture tecnologiche? Più spesa pubblica, meno spesa pubblica? Più insegnanti, meno insegnanti? Bastano anche quattro punti, o sei, non c’è l’obbligo dei cinque. Anche 12, se serve. L’importante è farsi vivi.

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