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Vamos a bailar compañeros

03/08/2000

Inutile produrre teorie troppo sofisticate sui tormentoni canori estivi, su quelle canzoni che suonano come una condanna sonora. Al massimo si possono registrare mode, filoni, addensamenti del gusto, fissazioni del pensiero. Per dire: frollate debitamente le Spice Girls, cioè le squinzie british della globalizzazione, dimenticati gli Aqua e il pop infantilistico, adesso "va" tremendamente la Spagna, e tutto ciò che suona ispanico. Istruzioni per l’uso: la movida è alle spalle e non c’entra niente il successo planetario delle politiche liberal-popolari di José María Aznar. L’idea primigenia, da cui è stata partorita anche la portoricana del Bronx Jennifer Lopez, è nelle interpretazioni erotico-pop di Madonna, così materialmente attenta al mercato dei latinos, con le sue canzoni e i clip dove mischiava sincretisticamente isle bonite, sesso, crocefissi e sudori. Ma la lingua spagnola, almeno per gli italiani, deve avere un’attrazione particolare, una sonorità familiare, qualcosa di intrinsecamente irresistibile. El pueblo unido. Adelante. Un, dos, tres, allez, olé. Ci dev’essere anche l’imprinting remoto di "Cuando calienta el sol", che tutti gli italiani hanno cantato in coro e malmenato nei karaoke, attoniti di fronte a quelle strane parole che dicevano «es tu cara, es tu pelo» (o forse erano proprio quelle parole fraintese che facevano «mi cuerpo vibrar»). Così che nei primi anni Ottanta anche la versione postnucleare di "Cuando calienta el sol", ossia "Vamos a la playa", perpetrata dai falsi gemelli italo-punk Michael e Johnson Righeira, procurò una stagione di tormenti ineffabili, tenuto conto che questo inno da delirio dell’ultima canna parlava di similtragedie sfiorate dal "viento radioactivo" e lambite dall’"agua fluorescente", un’Hiroshima in versione dance (e in seguito: "No tengo dinero", quando la Spagna non era ancora così ruggente). Dieci anni più tardi un’altra coppia, gli 883 di Mauro Repetto e Max Pezzali, avrebbero movimentato l’immaginario e le famiglie con il cartoon di sub-eroi "Hanno ucciso l’uomo ragno", che vedi caso è stato inciso anche in spagnolo ("Han matado a l’hombre araña", in una «típica noche de perros del Bronx», e chissà dov’era Jennifer Lopez). Oppure sono affinità elettive e basta: loro hanno il giudice Garzón che la mette giù dura con Berluscón, noi avevamo avuto il cabarettista Pietro Campagna e il suo rap "Di Pietro let’s go". Cosicché l’ultimo sbancatore di classifiche è il fragoroso Tonino Carotone, alias Antonio de la Cuesta, ex cantante di Kojón Prieto y los Huajalotes, che la stampa spagnola definisce talvolta con tipica moderazione hidalgica "el inmenso". Come sanno tutti, il suo hit si intitola "Me cago en el amor", che per la penisola ha una sonorità suggestiva, anche se dovrebbe significare all’incirca "chissenefrega dell’amore". Con l’aggiunta di un pizzico di intellettualismo, perché il trentenne Carotone, obiettore di coscienza, ex punk, tira robustamente al kitsch, ed è un compañero del ribelle Manu Chao, francese ma etnico-globale, con cui è anche stato in tv da Celentano. L’improntitudine del Carotone è smisurata e progettuale, visto che si ispira fin dallo pseudonimo a Renato Carosone, di cui ha citato "Tu vuò fa’ l’americano", ma soprattutto che ama svisceratamente gli idoli italiani degli anni Sessanta, cioè Mina, il Molleggiato e Rita Pavone, e ha un’adorazione per l’ombelico della Carrà. Peccato per l’assenza del flautato Nico Fidenco, «ti voglio cullare, cullare…». Saremmo nell’età che gira intorno a "Sapore di sale" (con Paoli massacrato in un rifacimento antimilitarista proprio dal Carotone, «no soy terrorista, no soy pacifista») e a "Una rotonda sul mare" di Fred Bongusto, passa attraverso "Luglio" di Riccardo Del Turco e nel Sessantotto trova una specie di manifesto intimamente reazionario in "Ho scritto t’amo sulla sabbia" dei neoromantici Franco IV e Franco I («Una bambola come te, io l’ho sognata sempre»). Comunque, bei tempi spensierati almeno finché sulle labbra tue dolcissime c’era un profumo di salsedine, secondo l’ideologo delle estati spiaggiaiole Edoardo Vianello. Ma il grammelot italo-spagnolo di Carotone è solo l’episodio di un serial. In una colonna sonora affollata da la copa de la vida, la vida loca, da Ricky Martin e dal figlio d’arte Enrique Iglesias, non si può dimenticare il passaggio del tedesco di padre ugandese e madre siciliana Lou Bega, con quel "Mambo n. 5" che riesumava il favoloso Perez Prado degli anni Cinquanta. Mancava poco e si risentivano nell’aria le sinuosità di Don Marino Barreto jr., «Aaaaarrivederci», parodizzato allora apocalitticamente da Umberto Eco («Aaaaalienazione…»). E lasciamo pure perdere il succes-so stratosferico della Lambada e della Macarena, che fu ballata persino da Rosy Bindi e Gerry White. Dimentichiamo anche la colonna sonora del "Ciclone" di Pieraccioni, con le Estrada e le Forteza scatenate sulle chitarre di un gruppo veneto. Resta il fatto che di fronte alle esuberanze ispaniche, ultimamente gli italiani se la sono cavata così così. Il ragazzo Alex Britti ha riempito l’estate scorsa con "Mi piaci" (nella versione spagnola, naturalmente "Me gusta"). E vabbè. Con il "Supercafone" er Piotta ha fornito il programma della sua "robba coatta", ma ha immediatamente esaurito il repertorio. Sembrava che dovesse sfondare Michael Chacon con la tremenda Banana, unico frutto dell’amor, ma si è ammosciato forse per overdose pubblica. Gli ispanici restavano in agguato. Le premesse erano state poste dal trionfale "La Flaca" dei catalani Jarabe De Palo, riapparso nel 1999 dopo tre anni dall’uscita per sbancare con il suo travolgente romanticismo habanero. Inutile opporgli Niccolò Fabi e "Vento d’estate", tormentino ritmato tendenzialmente sfigato. Infatti i Jarabe De Palo, guidati dal giovane Pau Donés, hanno avuto un altro colpo di genio e hanno imposto la vera canzone programmatica dell’estate 2000, cioè "Depende": «Que el blanco sea blanco, y que el negro sea negro, que uno y uno sean dos… depende». Colori e aritmetica relativizzati con una strizzata d’occhio. Sarà velleitario tentare di attribuire ai tormentoni estivi la capacità di incollare come una carta moschicida frammenti dello Zeitgeist. Eppure, questo pensiero debole e ammiccante sembra appropriato in modo micidiale alla fragilità delle convinzioni attuali. Sei diventata nera o sei rimasta bianca? Siamo di destra o di sinistra? «Depende». In modo che, volendo, si può mettere insieme una visione, o una fusion, che comprende il subcomandante Marcos, Maradona, Sepúlveda e il novantatreenne Compai Segundo, e che occhieggia al trash italiano degli anni Cinquanta e Sessanta, fino al Tuca Tuca compreso. Tanto, gli innovatori votano a destra, nel Messico e forse anche nell’Italia dei tormentoni. E contro la globalizzazione, contro il Grande Hermano neoliberale, si può organizzare una vocale e dispettosa "lucha" contro l’egemonia anglosassone, nel pop e nel mercato. Con canagliate, ghignate, trovate gaglioffe. Al confronto, gli Inti Illimani erano campioni di rigorismo politico. Adesso, c’è il giulivo "Vamos a bailar" di Paola e Chiara. Insomma, se il vostro slogan è ancora no pasarán: come sempre, ha dda passà l’estate.

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