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Vestivamo alla beat

26/04/2001

My name is Clapton. Eric Clapton…». Possibile che in un istante indefinito ma cruciale degli anni Sessanta il solista degli Yardbirds si materializzi nel centro di Modena, chiedendo l’indirizzo di un celebre liutaio cittadino? Forse la sua presenza è solo un cortocircuito della memoria. Ma può anche darsi che si tratti dell’effetto di una strategia distorsiva, deliberatamente scelta da Roberto Barbolini (critico teatrale di "Panorama" e scrittore già noto per romanzi come "Il punteggio di Vienna") per acchiappare dalla provincia il mood planetario dei Sixties. Poteva essere una specie di romanzo di formazione, con annessa la concessione nostalgica, e invece no: nei 14 racconti del libro ("Chiamala veglia. Storie tra sonno e rock", Aragno editore, in questi giorni in libreria) non c’è traccia del bamboleggiamento generazionale, del come eravamo, della politica, del Sessantotto. C’è piuttosto un catalogo di oggetti, di esperienze, di "cose" che hanno scandito ossessivamente un decennio. Dalle Fender alle Gibson, fino alle autarchiche Eko. All’insegna dello slogan secondo cui, alla faccia di McLuhan, «il sound è il messaggio». La "piccola città" di Barbolini è lo sfondo di una Beat Generation dove la storia avviene in diretta, o almeno per immediato sentito dire. Si può incontrare la Rolls Royce di quegli esteti dementi dell’Equipe 84; si fanno vasche in centro con Vasco, ed è superfluo chiarire chi sia Vasco; ci si innamora di una che va pazza per i Nomadi, e soprattutto per Augusto Daolio, cantante e pittore, l’Eric Burdon della bassa e, post mortem, idolo new age. È comunque curioso che nella letteratura nazionale si inserisca un’opera narrativa che oltre ad Alberto Arbasino, Henry Roth, Raymond Chandler, chiama a raccolta gli eroi dell’età del rock. Il sonno, e la veglia, sono le polarità di un testo in cui si dispiegano i materiali maggiori e minori di un’epoca, identificati con assiduo puntiglio sociologico: dalle sonorità di "Heart full of soul" degli Yardbirds al beat italiano dei Dik Dik e della mogoliana "Dolce di giorno"; dai rimedi contro la caduta dei capelli (le fiale di Meducrin, il Selsun al solfuro di selenio, la confezione gigante di Hegor) alle bancarelle con i Gialli Proibiti Longanesi. Sarebbero reperti di archeologia culturale se non agisse una dimensione mitica (identificata da Cesare Garboli e Guido Fink, che presenteranno il libro al Premio Strega) che trasforma i frammenti di memoria in configurazioni iperboliche. Ognuno ha la storia che si merita: i reperti dei Sessanta si iscrivono in una costellazione favolistica, al punto che non importa se Eric Clapton è venuto davvero. Sarebbe potuto venire, e questo basta per esentare il decennio dalla politica, e per restituirgli una inattesa dignità estetica.

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