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Via dalla pazza maggioranza

13/05/2004

Il primo è stato Paolo Cirino Pomicino, andreottiano di lungo corso, che con la sapienza degli anticipatori ha abbandonato le file dell’Udc e ha raggiunto Alleanza popolare-Udeur, ossia le milizie di Clemente Mastella e Mino Martinazzoli. Poi è stata la volta del magnifico rettore di Catania, Ferdinando Latteri, che ha lasciato Forza Italia per approdare al centrosinistra. Infine si è avuto l’esodo più vistoso, l’abbandono dell’Udc da parte di Sergio D’Antoni, fondatore di Democrazia europea, la formazione politica con cui l’ex segretario della Cisl intendeva scompaginare il bipolarismo italiano (per poi finire nell’Udc e nella Casa delle libertà). Il centrodestra minimizza, naturalmente. Sono casi isolati, capitribù senza tribù, non porteranno voti. Eppure questi casi isolati infastidiscono, punzecchiano, fanno male. Il perché lo ha sintetizzato perfettamente D’Antoni, che nell’aderire alla lista unitaria prodiana ha giudicato "fallimentare" la sua esperienza nel centrodestra, e di riflesso anche l’esperienza di governo della Casa delle libertà. La fuga dal centrodestra è imbarazzante perché nasce da un giudizio politico. Ci potranno essere anche interessi personali, elettoralistici, di potere, ma il nocciolo della questione è che alcuni esponenti politici di vecchia tradizione anticipano un giudizio che sta serpeggiando ormai da qualche tempo in ampi settori dell’establishment italiano. Il giudizio è un pollice verso nei confronti di Berlusconi, della sua maggioranza, del suo governo. Non stupisce quindi che politici di normale intuito ma di ottimo fiuto "sentano" la possibile sconfitta del centrodestra, e facciano i bagagli. Come si può capire, spesso il ceto politico professionale è molto meno ideologico dell’elettorato. Nell’opinione pubblica permane quel riflesso semiautomatico che dal 1994 in poi ha impedito un passaggio di voti significativo da uno schieramento politico all’altro. In settori consistenti dell’élite economica italiana la valutazione della vicenda berlusconiana si è ormai sedimentata, in termini negativi, ma permane un sentimento di diffidenza verso il centrosinistra, insieme con un senso di contiguità con l’ideologismo aziendalista di Berlusconi. Invece, nelle zone politiche di confine, sul centro della Casa delle libertà, la libertà, o la spregiudicatezza, possono manifestarsi senza tabù. Per gente intrisa di politica, nata e vissuta nel professionismo politico, le rigidità e le forzature berlusconiane sono assimilabili al dilettantismo. Per ora, ciò interessa più i capi che non i semplici indiani. Ma questa sensazione di disillusione, insieme con un senso di impotenza, investe profondamente quel ceto politico di ascendenza democristiana che ha trovato nel centrodestra una casa in affitto. In particolare l’Udc viene a trovarsi in una posizione critica. Il partito guidato da Marco Follini esercita una specie di presidio istituzionale sul margine del centrodestra. Cerca di evitare gli strappi più vistosi, tiene una linea europeista classica, è esente dalle ispirazioni liberiste di una parte della Casa delle libertà. Ma basta tutto questo per assicurare un’identità, un ruolo, un peso politico? Molti post-democristiani sono consapevoli e convinti che l’alleanza con Berlusconi è stata un patto con il diavolo; e a qualcuno è venuto da tempo il dubbio che il prezzo di questo patto sia troppo oneroso. Per il momento non sono immaginabili altri scossoni o passaggi di confine. Tuttavia è chiaro che l’appuntamento con le elezioni europee sarà particolarmente importante, anzi, segnerà un crinale delicatissimo: una sconfitta secca del centrodestra, fosse pure una sconfitta per disaffezione, per disincanto, per stanchezza dell’elettorato, aprirebbe scenari di turbolenza inedita. Non sarebbe la prima volta che il mutamento politico in Italia avviene per spostamenti di spezzoni di ceto dirigente, prima ancora che per scelte autonome dell’elettorato. Si tratta di puro e semplice trasformismo? Non soltanto. Gioca la sua parte un bipolarismo provvisorio, tenuto in piedi dalla figura adulata e demonizzata di Berlusconi. Ma in fondo c’è anche il giudizio sempre più distante e disarmato sulla qualità del centrodestra, e sulla cultura che in esso si esprime: se scatterà la grande fuga, può benissimo darsi che essa non verrà dettata esclusivamente da interessi politici ignobili.

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