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IL PREZZO DELLA SCELTA

09.06.1996
INTERNO

Se vivessimo nel paese «normale» annunciato da Prodi e D’Alema, in questi giorni si discuterebbe di come il governo dell’Ulivo sta affrontando i primi impegni. Sarebbe infatti di qualche interesse seguire da vicino il modo in cui l’esecutivo sta programmando la sua azione, anche perché per un governo a tutti gli effetti politico i primi mesi di lavoro costituiscono un banco di prova fondamentale: non solo in quanto dalle prime misure adottate si potrebbe capire con più precisione quali sono le direttrici che intende seguire, ma anche perché da esse potrebbe venire qualche chiarimento in più rispetto all’ampio programma illustrato in Parlamento dal presidente del consiglio. Invece le giornate politiche ormai sono saturate dall’offensiva leghista sul secessionismo, con l’opinione pubblica già in larga parte nevrotizzata dall’indipendentismo folk di Bossi, Maroni e Pivetti. Va da sé che il lancio di ipotesi politiche estreme riesce sempre ad avere la meglio sulle piattezze dell’attività di gestione; ciò malgrado in questo momento risulta piuttosto curioso che non ci sia, neppure da parte dell’opposizione, un’attenzione significativa per l’avvio della fase di gestione. Il fatto è che del governo Prodi sappiamo tutto di ciò che è, mentre sappiamo pochissimo di ciò che farà. O meglio: è un elemento assodato ciò che l’esecutivo di centrosinistra produrrà sul piano della politica economica, dal momento che la scelta di Carlo Azeglio Ciampi come grande timoniere dell’economia parla come un libro aperto: l’ex governatore condurrà la nave italiana sulla rotta della concertazione, inducendo sindacato e imprenditori alla collaborazione triangolare con il governo per programmare rientro dell’inflazione, discesa dei tassi d’interesse, correzione dei conti pubblici, consolidamento della stabilità monetaria. Vecchio metodo, buon metodo, con tutti i suoi limiti. Ciampi ha una stella polare, che è il pieno rientro italiano nell’Unione europea, e si può stare certi che la seguirà fino in fondo. Sotto questa luce la sua presenza nella compagine ministeriale è una garanzia di rigore. Ma è un’illusione pensare che questo governo, un governo finalmente a piena legittimazione politica, possa funzionare alla stregua di un consiglio d’amministrazione, e gestire l’azienda Italia con modalità e strumenti svincolati dalla base politica di cui è espressione. Anzi, il rischio maggiore del governo consiste proprio nel dimenticare di essere figlio di una scelta politica nitida. Il che significa che la sua non può essere un’azione volta solo a ridefinire regole e condizioni di fondo dell’assetto politico-istituzionale (per togliere fiato alla Lega, sul tema federale, e per coinvolgere nelle riforme istituzionali il Polo evitandone una pericolosa digregazione), e neppure una serie più o meno elegante di provvedimenti tesi a riportare sotto controllo le grandezze macroeconomiche. Se la politica ha un senso, il governo Prodi ha il compito di dare risposte al paese facendo riferimento agli elettori che hanno votato per il centrosinistra. Finora su questo terreno non è riuscito ad andare più in là di generose genericità. Né le tesi programmatiche di Prodi né la presentazione del suo programma alle Camere hanno offerto indicazioni stringenti. Il governo ha prospettato un panorama di praticabilità, al cui interno sono iscritte le parole d’ordine dell’Ulivo, quelle secondo cui si dovrebbe coniugare solidarietà e mercato, efficienza e occupazione, privatizzazioni e stato sociale, tagli alla spesa e sviluppo. Il tutto tenuto insieme da uno sforzo collettivo e solidale di mobilitazione, capace di portare il paese verso un approdo sicuro. Le cose per la verità sono più complesse. Fuori dalle astrazioni, c’è da fare i conti sul serio con le condizioni di una società che in molti settori è stata duramente colpita a partire dalla grande manovra di Giuliano Amato dell’autunno 1992, e in cui i segnali di disagio sono fortemente cresciuti. Al momento di passare dai modelli alle scelte, realismo vorrebbe che si valutasse con attenzione la realtà effettiva del paese. Ad esempio: in Italia esiste un’autentica questione salariale, che investe il lavoro dipendente, colpito da una severa politica di contenimento. Questione che si staglia con nettezza ancora maggiore se si considera che la compressione dei salari è avvenuta sullo sfondo di processi di ritorno al mercato o di sensibili aggravi tariffari (come nel caso dell’equo canone o della sanità), che hanno ulteriormente messo in crisi gli standard di reddito di interi ceti. Bene, sarebbe un errore drammatico se il governo dell’Ulivo trascurasse situazioni di questo tipo. Drammatico, l’errore, perché esplicitamente politico. La composita alleanza che ha formato il centrosinistra è nata in parte come comitato di liberazione contro il Polo, ma in parte anche come abbozzo di progetto politico di lungo periodo. Ciò vuol dire che esiste oggi un classico problema di equilibrio e di simmetria tra la funzione di governo affidata all’esecutivo e la funzione di rappresentanza politica propria dei partiti dello schieramento che lo sostiene. Se Prodi perde di vista questo aspetto, magari inseguendo il miraggio di un confuso unanimismo nazionale, sulla base di una «tecnica del governare» data per neutra, i conflitti che rifuggirà all’esterno si scaricheranno tutti all’interno della sua maggioranza. Sono i primi frutti del ritorno alla politica: che in quanto tale incorpora prezzi, e scelte, che non possono essere evitati.

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