Sarà che i tempi sono convulsi, i giochi politici complicati, il bipolarismo incompleto come dice Giovanni Sartori, la società complessa come affermano i sociologi. Oppure sarà che tutto è riassumibile dal Teatrino italiano di Altan, appena pubblicato dal Mulino, in cui le figure, e quindi le persone e le cose, sono evaporate lasciando lì solo parole di chirirgica ferocia. Sarà così sicuramente. E deve essere per questo che non si accettano più né analisi in profondità né interpretazioni ponderose. I libri non sono mai troppo piccoli, e quando sono piccoli a sufficienza bisogna ridurli ancora a una formula: l’Italia di Giorgio Bocca? Un paese spaesato, anonimo, anomico. La tesi di Giuseppe De Rita? Che in Italia non c’è una borghesia, ma solo una bolla enorme di ceto medio che non sa essere classe dirigente. Segnarsela, questa: ceto medio, borghesia, bolla. Domani la si potrà ripetere pari pari. Ed è piuttosto curioso che in una società come la nostra, che per decenni si è dedicata al «dibbattito» e all’approfondimento della linea, all’improvviso si sia sentito il bisogno della sintesi, possibilmente fulminea. E meglio ancora se la sintesi è urticante, politicamente scorretta, velenosa al punto giusto. Perché la politica, ormai, si fa quasi soltanto con dichiarazioni che sono battute. Ecco Lucio Colletti che pianta spilloni al cianuro nel corpo semiaddormentato del Polo, o Pietrangelo Buttafuoco che distilla malvagità sulla destra e la sinistra (si deve a lui la letale sintesi secondo cui, nel momento di maggiore successo dei postfascisti, che reclutavano a man salva vecchi boiardi dello Stato, «Benito Mussolini è l’unico socialista che non possiamo riciclare in An»). Battute. Battute come genere letterario, ma ancora di più come principio di interpretazione e criterio di giudizio. Battute, verrebbe da dire, come «cultura della battuta». Non sfugge nessuno. Non Bertinotti, che riesumò una vecchia battuta secondo cui «in Italia fra i rivoluzionari e i riformisti non c’è mai stata grande differenza, perché gli uni non fanno la rivoluzione, e gli altri non fanno le riforme». Ma non sfugge alla maledizione della battuta nemmeno Silvio Berlusconi, che adatta barzellette storiche a se stesso, non sfugge D’Alema, battutista che dicono insigne, e nemmeno naturalmente Prodi (Robin Hood, i sorci verdi). E non fu Tremonti a dire che mettere Visco a fare la riforma fiscale equivaleva a piazzare Dracula alla presidenza dell’Avis? Bossi sulle battute ci vive: il governo sole al posto del governo ombra, I-taglia per esemplificare linguisticamente la secessione. Di battute ormai si vive, ma le battute possono anche uccidere. Mariotto, anzi «Svariotto», Segni fu distrutto dall’ironia di chi sostenne che era uno che aveva vinto la lotteria ma aveva perso il biglietto. I progetti legati all’alberello di Alleanza democratica (qualcuno forse la ricorderà) furono desertificati da Ernesto Galli della Loggia, che sviluppò fino a conseguenze catastrofiche il concetto di «cespuglio» della Quercia. Oggi, grazie all’inventività di Giampaolo Pansa, l’accordo possibile fra D’Alema e Berlusconi ha dato luogo allo spregiativo «Dalemoni». Qualcun altro, per scherzare sui virtuosismi di Veltroni, ha coniato il verbo «veltroneggiare», che vorrebbe alludere a certe sue capacità di fare magnifici funambolismi sul filo del convenzionale, e il neologismo è stato immediatamente ripreso in chiave critica contro il vicepresidente del consiglio da Emanuele Macaluso. E quindi conviene prepararsi, non farsi trovare mai scoperti. Operazione difficile, dato che la vita quotidiana e soprattutto la politica sono diventate una specie di infinito Blob, dove le battute si insinuano dappertutto, escono da una profonda analisi di Buttiglione o di De Mita e trapelano nelle considerazioni a posteriori di Occhetto, si infilano nell’economia, tracimano dal dibattito sulla riforma istituzionale (Costituente e Bicamerale, la strada maestra e il viottolo). Alt. Pausa. Ci vuole un manuale di sopravvivenza, un Bignami per orientarsi. Si può cominciare naturalmente con i classici moderni, a partire da Forattini su la Repubblica e Panorama, ma naturalmente senza trascurare il classicissimo Altan dell’Espresso, e il brillante, direbbe proprio Altan, Giannelli sul Corriere. Dopo di che, le cose si complicano. Perché su questo giornale il lunedì non si può naturalmente perdere il Parolaio di Pierluigi Battista. E nemmeno le rime piuttosto perfide del Senza senso di Stefano Bartezzaghi, o certe cattiverie di Fruttero & Lucentini. E chi vorrà mai rinunciare a un boxino di Arbasino sul giornale di Ezio Mauro, oppure a una insinuante letterina dell’autore di Fratelli d’Italia a questo o a quel quotidiano? A un corsivo sarcastico di Nello Ajello? A una spettegolata politica dell’Ajello minore sul Messaggero? Eh no, non si può rinunciare a niente. Occorre consultare con religiosa concentrazione l’ultima pagina di ogni numero di Panorama, intitolata Ipse dixit, che è un utile florilegio di frasi più o meno celebri della settimana, e possibilmente memorizzarne le migliori, e poi seguire i cortocircuiti dell’anonimo Merit sul Sole 24 ore, pedinare accuratamente Michele Serra sull’Unità. Perché altrimenti si rischia di ritrovarsi spiazzati in società, di credere di avere inventato un bon mot originale, di avere riscoperto un episodio curioso, e di essere squadrati con fredda riprovazione dai commensali perché l’hanno appena scritto Filippo Ceccarelli o Francesco Merlo. Oppure l’hanno già citato Biagi e Montanelli. Si potrebbe chiedere al ministro Luigi Berlinguer se non valga la pena di istituzionalizzare la cultura della battuta in appositi corsi universitari, o almeno in seminari e gruppi di studio del Dams. Si potrebbero fare anche diversi convegni, intitolati alla memoria di Maccari, Longanesi, Flajano, Mario Melloni. Convegni da tenere con relazioni brevissime, fulminee, una battuta e via. E premi, alla battuta dell’anno, del mese, del semestre. Viene in mente proprio Maccari quando ogni anno, all’assegnazione del Nobel per la letteratura, metteva sale sulle ferite: «Anche quest’anno rassegnato il premio ad Alberto Moravia». Per l’appunto, rassegniamoci. Non sarà una risata a seppellire nessuno, ma una continua raffica di battute a crivellarci, questo sì.
22.10.1996
SOCIETA' & CULTURA
DA ALTAN A BOCCA, DA BERTINOTTI A BERLUSCONI: UN "GENERE LETTERARIO" CHE DISTILLA VELENI A DESTRA E A SINISTRA