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LA SPALLATA

09.07.1997

Non appena la politica sfiora la giustizia si scatenano guerre: è un copione al quale dovremmo essere ormai abituati, anche se per la verità non ci si abitua mai. La percezione di uno scontro ora sordo e ora invece conclamato è uno degli aspetti meno rassicuranti sul funzionamento delle istituzioni, sulla credibilità della politica così come sulla fiducia verso la magistratura. Talvolta infatti si è avuta l’impressione che da parte dei magistrati ci fosse un rifiuto preconcetto rispetto alle riforme concepite in Parlamento e nella Bicamerale: che insomma la giustizia accusasse nel suo insieme la politica di voler mutare le regole per colpire l’indipendenza dell’ordine giudiziario. In altre occasioni, invece, il tema della giustizia è diventato l’oggetto strumentale di scontro fra le parti politiche, fra quelle proiettate all’attacco dei procuratori e quelle schierate a difesa. Negli ultimi giorni, in seguito alle parole del pentito che ha fatto incrociare in una complessa storia i destini di Tiziana Parenti e di Ilda Boccassini sembrava che il copione venisse ripreso integralmente. Si era già registrato l’attacco di Silvio Berlusconi, che dopo avere inveito contro Antonio Di Pietro, aveva allargato il campo a tutta la magistratura, riducendolo al rango impiegatizio, per coronare il suo sfogo con l’abbraccio simbolico a Tiziana Parenti, la grande nemica del pool di Milano. A questo punto ci si poteva aspettare che la sceneggiatura mostrasse i distinguo di Alleanza nazionale, puntualmente arrivati con le dichiarazioni di Maurizio Gasparri e di Ignazio La Russa («sulla giustizia noi siamo i moderati; Forza Italia è l’ala estremista»), mentre si poteva dare per scontata qualche ferma replica di Massimo D’Alema, anch’essa regolarmente pervenuta nella serata di ieri. Solo che nel frattempo era accaduto qualcosa di imprevisto. E cioè che prima quaranta deputati di Forza Italia, guidati dal capogruppo Beppe Pisanu, e poi l’intero gruppo forzista del Senato, hanno rivolto un’interpellanza al ministro della giustizia, chiedendo in sostanza di inviare un’ispezione nella Procura di Milano e di sospendere dalle sue funzioni il pubblico ministero Ilda Boccassini. È piuttosto strano, innanzitutto, che un partito si schieri come un sol uomo contro un sostituto procuratore, sponsorizzando così le denunce a prima vista piuttosto fantasiose rivolte dal pentito Veronese alla Boccassini. Ma la stranezza di questa iniziativa aumenta a dismisura se qualcuno ne trae tutte le conseguenze. Perché il senso di questa vicenda appare uno e uno soltanto. Vale a dire che si è autorizzati semplicemente a pensare che Forza Italia sta tentando di dare una spallata, forse quella definitiva, contro la Procura di Milano. Finché era Berlusconi ad accusare di varie iniquità i magistrati milanesi, le toghe rosse, i settori di una magistratura «politica» coalizzata ai suoi danni, si trattava di una sua personale strategia di risposta alle inchieste e alle azioni giudiziarie che lo avevano messo sotto tiro, condivisa dal partito ma senza un’esposizione pubblica risolutiva. Invece oggi è l’intera Forza Italia che si muove all’attacco, con intenti liquidatori, cercando il faccia a faccia finale. È arduo dire se sono state valutate tutte le implicazioni di questo atto. Se sono state analizzate a fondo, il maggiore partito del centrodestra si assumerà naturalmente la responsabilità di avere innescato uno scontro che potrebbe avere ripercussioni imprevedibili sia in Parlamento sia nell’opinione pubblica. Se invece c’è stata una cattiva valutazione, un calcolo affrettato, bisognerà che qualcuno, nel Polo ma anche all’interno di Forza Italia, consideri con la debita attenzione che sarebbe dannoso per tutti se una volontà di vendetta coagulatasi su base emotiva diventasse lo strumento al servizio di un’avventura.

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