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IL PREMIO DELLA STABILITA’

01.12.1997

Per come si stanno profilando, i risultati di questa tornata di elezioni amministrative sembrano in quasi perfetta linea con le previsioni. Nelle grandi città i sindaci del centrosinistra trovano una conferma che ne consolida la posizione. Leoluca Orlando e Enzo Bianco passano al primo turno, mentre a Genova Giuseppe Pericu rimedia nel ballottaggio alla non brillante prestazione dell’Ulivo dovuta alla mancata ricandidatura dell’ex sindaco Adriano Sansa. Si può dire insomma che i dati di ieri sera confermano e completano il quadro delineatosi due settimane fa. Oggi possiamo osservare un’Italia delle grandi città che esprime una coerente vocazione governativa: salvo poche eccezioni, di cui Milano è la più significativa, le aree metropolitane hanno scelto i candidati e le alleanze che ruotano intorno all’Ulivo. Le ragioni di questa scelta erano affiorate con una certa chiarezza anche quindici giorni fa, e dipendono in misura sostanziale dalla debolezza delle candidature del Polo ma anche dal consenso guadagnato dai sindaci uscenti, e in misura forse minore ma non insignificante anche da un effetto di riverbero del governo Prodi sulle amministrazioni locali. Anzi, una volta di più si può verificare che nella situazione politica attuale c’è un fattore da rilevare, ed è il «premio di stabilità» che viene consegnato a chi governa. Non è detto che ci sia una relazione diretta fra il buon rendimento elettorale dei sindaci del centrosinistra e il consenso al governo dell’Ulivo. Tuttavia se si considera in parallelo anche la fragilità dei programmi e dei comportamenti politici del Polo (continuamente in bilico fra la tentazione di inasprire la propria opposizione, come è avvenuto contro il decreto sull’Iva, e una prassi invece molto più moderata), viene da pensare che nei prossimi mesi sarà difficile impedire che il governo centrale si rafforzi e che guadagni un favore più diffuso nella società. Sembra quindi che il Polo sia destinato a perdere ulteriormente competitività politica. Se questo fosse vero, non si porrebbe forse un problema di leadership, dal momento che qualsiasi candidato esterno alla successione di Silvio Berlusconi è un candidato soltanto virtuale, mentre il candidato interno, Gianfranco Fini, è stato indebolito dal cattivo risultato nel voto di lista del primo turno, un dato che potrebbe cominciare a mostrare per An limiti fisiologici di sviluppo. Ma se è opportuno abbandonare gli esercizi divinatori sul futuro capo del Polo, rimane invece sul tappeto una questione di alleanze. È evidente infatti che il centrodestra può tornare concorrenziale soltanto rimettendo insieme le «tre destre», cioè ricomponendo in forme nuove la coalizione del 1994. Ma è possibile venire a patti con una Lega che dimostra di essere in grado di mantenere le proprie roccaforti, e che comunque conserva quote di elettorato consistenti anche se politicamente poco utilizzabili? Esponenti di Forza Italia come Tremonti e Frattini hanno lanciato da tempo proposte e messaggi alla Lega. Soprattutto il primo è riuscito anche a trovare uno slogan piuttosto efficace, secondo cui «la secessione l’ha già fatta l’Europa», in quanto determina cessioni di sovranità così consistenti da rendere sorpassata e inutile l’idea «ottocentesca» del separatismo. Ma abbiamo già visto tre anni fa che un’alleanza politica non deriva da una semplice sommatoria di elettorati, e occorre considerare che eventuali accordi con Bossi potrebbero avere pesanti ripercussioni dalle parti di Fini. Il centrodestra si trova quindi dentro la maledizione di un triangolo scaleno che in questo momento appare come una figura troppo irregolare per poter fare da base alla politica futura del Polo. La contraddizione fra An (ma anche i postdemocristiani della coalizione) e la Lega non sembra infatti mediabile. Se le cose stanno così, è probabile che toccherà a Bossi inventarsi la prossima mossa. Ma poiché non ci sono a breve scadenza occasioni elettorali per rendere efficaci invenzioni o reinvenzioni politiche clamorose, ci si può aspettare che la Lega cercherà in Parlamento di movimentare la situazione, proprio come ha fatto nei giorni scorsi, per recuperare visibilità. Più che sulla legge finanziaria, il banco di prova potrebbe venire col nuovo anno, cioè con l’avvio della discussione sul progetto della Bicamerale. La discussione sulle riforme costituzionali può diventare la prova tecnica del rinovo del centrodestra. Potrebbero andare a rischio le riforme, se il prezzo fossero innovazioni come una soluzione «confederale». Ma potrebbe entrare in discussione anche il Polo così com’è: perso per perso, chi l’ha detto che le alleanze, e i triangoli, devono essere eterni?

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