gli articoli LA STAMPA/

NATURALE VOCAZIONE ALLA LIBERTA’

04.12.1997
CRONACHE

All’inizio degli anni Ottanta il settimanale Panorama pubblicò una piccola enciclopedia della satira politica, conducendo anche una indagine chiedendo ai direttori di giornali e riviste di indicare chi fossero i tre migliori disegnatori di satira. Di Jacovitti non si ricordò praticamente nessuno: l’unico a citarlo, al terzo posto della sua classifica personale, fu Livio Caputo, allora direttore della Notte. Chiaro, no? L’unico a indicare un disegnatore di destra era un giornalista di destra. Sfortunato, dal punto di vista politico, Jacovitti. A partire dal nome, Benito, affibbiatogli da un padre che aveva fatto la marcia su Roma. Sfortunato durante il ventennio fascista, se è vero che a 19 anni, nel 1942, meritò già la convocazione di Alessandro Pavolini, ministro della cultura popolare del regime, che lo invitò a essere più rispettoso verso le istituzioni fasciste. E sfortunato anche dopo. Perché il liberale Jacovitti, «anarchico liberale» secondo Forattini, era in realtà una specie di Democrazia cristiana: la massa comprava milioni di copie del Diario Vitt e votava Cocco Bill, ma le avanguardie arricciavano il naso di fronte alla perfetta, totale, esemplare irresponsabilità politica e culturale di Jacovitti. Oggi i disegnatori di sinistra, da Staino a Chiappori, piangono il maestro. Ma allora, tra gli anni Settanta e gli Ottanta, Jacovitti era un reprobo. La sinistra vignettara discuteva in modo piuttosto acceso sulla libertà della satira. Oreste del Buono nel 1976 aveva lanciato il dilemma in un editoriale di Linus: «deve la satira politica limitarsi a colpire il potere oppure può rivolgersi anche all’interno della sinistra e affrontarne le contraddizioni?». E giù riflessioni pensose. Figurarsi come poteva essere vista allora la presenza su Linus di Jacovitti. Uno senza coscienza di classe, anzi, un inno all’incoscienza pura. Che si divertiva a satireggiare sulle fazioni di destra e di sinistra, senza le dovute distinzioni. Un affronto vivente e operante alla correttezza politica. Un «fascista». Anche perché in quegli anni Linus non era solo una rivista di comics. Era anche un rifugio epistolare, un luogo di dibattito politico, una palestra di esercitazioni letterario-rivoluzionarie, una comunità virtuale in grado di scomunicare i non allineati. Jacovitti dava fastidio sapendo di darlo. Quando a metà dei Settanta pubblicò su Linus la storia di Johnny Lupara, con le sue insopportabili facezie sugli opposti estremisti, i lettori più animosi insorsero, riempiendo la redazione di lettere di protesta. Lui, dopo un po’, lasciò perdere la collaborazione. Ma accettò di riprenderla qualche anno dopo, suscitando un nuovo vespaio. La storia questa volta aveva per protagonista Joe Balordo, detective impegnato in una surreale questione di corna, niente di politicamente discutibile, ma ancora una volta il popolo dei fumetti insorse contro il «fascista» Jacovitti. Forattini ha ricordato che lui rese ancora più problematica la sua posizione di «maestro che sbaglia» pubblicando su Linus una vignetta in cui si vedeva proprio la rivista pendere dal gancio della carta igienica. Non era una vendetta, ma uno sberleffo. Un’irrisione non priva di complicità. Solo oggi possiamo riconoscere appieno la qualità del conformismo di allora, e la razionalità della vocazione di Jacovitti al «lasciatemi divertire». Adesso sarebbe sciocco trasformarlo in un maestro di democrazia. Ma sarà bene riconoscere che ciò che lo rendeva insopportabile allora, era soltanto una irresistibile propensione alla libertà.

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