gli articoli LA STAMPA/

BENVENUTI NEL PAESE DEI BALOCCHI

16.03.1997
CRONACHE
ANALISI

Ma sì, buttiamoli nella spazzatura della storia i corsi di recupero per gli studenti debolucci, proprio come ha annunciato il ministro Luigi Berlinguer in un convegno a Palermo. Dovranno essere i singoli istituti, nella loro autonomia, a decidere come recuperare i ritardatari e a organizzarsi di conseguenza. Basta con il mostriciattolo del recupero. Alla cui origine, come si ricorderà, ci fu l’eliminazione degli esami di riparazione, una delle misure adottate da Francesco D’Onofrio, ministro dell’istruzione nel governo Berlusconi. Era un provvedimento demagogico, di cui furono immediatamente sottolineate tutti gli inconvenienti possibili. Giusti o sbagliati che fossero, adeguati o no alle ultime teorie delle scienze della formazione, gli esami di settembre erano un appuntamento istituzionale, uno strumento operante, un pezzo riconoscibile della macchina scolastica. Invece i corsi di recupero erano una invenzione estemporanea, che non faceva i conti con la realtà delle scuole, e che innovava affannosamente soprattutto per far vedere che si stava innovando. Ma pazienza: eliminati con un tratto di penna gli esami di riparazione, anche i corsi di recupero erano meglio che niente: perfino il loro carico di burocrazia severamente censurato ieri da Berlinguer, perfino l’assurdità di «fermare» gli studenti in linea con i programmi per recuperare evangelicamente le pecorelle smarrite, erano meglio del nulla assoluto che si prefigura dopo questo ennesimo annuncio del ministro: annuncio che avrà l’effetto immediato di una vera e propria legge, ancorché non scritta, dal momento che all’istituzione scolastica non sembrerà vero di fare scivolare nell’oblio i corsi e i recuperi. Dopo di che viene da chiedersi quali sono le ragioni che ispirano interventi di questo genere. E la risposta è fin troppo semplice: c’è la convinzione che a salvare la scuola non sarà l’amministrazione ordinaria, ma solo la grande riforma, succedaneo moderno della rivoluzione. In attesa del Big Bang preparato dal ministro Berlinguer, tuttavia, bisognerebbe che la scuola italiana, grande malata, non tirasse gli ultimi. Perché le grandi riforme si sa quando vengono annunciate ma non si sa quando verranno attuate. E prima della rivoluzione ministeriale ci si potrebbe anche accorgere che la scuola, fra la distrazione generale, è semplicemente e tristemente morta. Certo, in genere le grandi strutture burocratiche sopravvivono alla propria morte trasformandosi in qualcos’altro. La scuola italiana potrebbe trasformarsi per esempio in una lunghissima scuola elementare, molto materna, molto assistenziale, dove i piccini socializzano, discutono dei loro diritti, concordano tacitamente con i loro professori la promozione garantita, che evita ricorsi al Tar e scongiura il taglio delle classi. Ma è una scuola questa? No, è il paese dei balocchi, la stanza dei giocattoli, l’eternità dell’infanzia in versione burocratica e pseudodemocratica. Perché alla fine gli studenti arrivano all’università e i docenti sobbalzano nel rilevarne l’immaturità. Si è già creato uno squilibrio troppo forte tra il livello richiesto dai corsi universitari e la preparazione offerta dalla scuola superiore. È inaccettabile. Vorrà dire che ben presto ci si dovrà applicare seriamente per trovare un rimedio, anzi «il» rimedio: abbassare la qualità dell’università. Portare gli atenei al livello degli studenti, ecco un ottimo e popolare programma. Basterà poco, un paio di misurine, due o tre provvedimentini. Mentre si sarà annunciata, com’è opportuno, un’altra bella e grande riforma.

Facebook Twitter Google Email Email