gli articoli LA STAMPA/

DA COSSIGA A BERLUSCONI LA ROTTURA DEGLI SCHEMI

30.06.1997
SOCIETA' CULTURA E SPETTACOLI
GLI "ALLIEVI"

Il dilemma dei capi delle rivolte è il loro controverso rapporto con la plebe. Non con la classe, il popolo, il quarto stato: la plebe. C’è un termine specifico, «oclocrazia», che serve proprio per designare il governo della plebe (o di un tiranno sostenuto da essa sostenuto) e il vocabolo ha tutta l’aria di segnalare problemi. Non è affatto casuale, in questo senso, che Silvio Berlusconi si sia attribuito la definizione di Masaniello: lo ha fatto per identificare il cortocircuito politico determinato dalla sua entrata in politica, che faceva saltare i moduli tradizionali di mediazione politica, la rottura degli schemi di riproduzione e di cooptazione con cui l’establishment si perpetuava. Puntualissima, l’opposizione a Berlusconi non è venuta solo da sinistra. Certo, il primo a designare il cortocircuito con incisiva animosità fu Fausto Bertinotti, che trattò il Polo come il rastrello elettorale della «plebe borghese», intendendo con questa espressione ceti disintegrati, fasce anarcoidi della società italiana, giudicate insensibili ai processi e ai meccanismi della democrazia rappresentativa, orientate solo alla ricerca dell’utile individuale e assoggettate al carisma del capo. Ma un’opposizione al masaniellismo berlusconiano è venuta anche dai ceti legittimati del potere italiano, dai sancta sanctorum del potere economico e istituzionale. Sta di fatto che in un saggio apparso di recente (Stanchi di miracoli, a cura di Ilvo Diamanti e Marc Lazar, ed. Guerini e associati), Jean Blondel definisce il risultato delle elezioni del 1996 come «la rivincita della classe dirigente sui parvenus». Non è un capo della plebe Umberto Bossi, che lo sarebbe se avesse dato retta del tutto alla sua vera indole politica, mettendo sulla scena il lato «popolano» della Lega a cui si è più volte appellato, ed è finito invece a rincorrere il sogno di un’identità nazionale alternativa. Errore, o si è un capo della plebe o si è un capo di stato. L’aut aut non consente doppiezze. Qualche riferimento masaniellesco si può trovare piuttosto in qualche esponente di punta del finale di Prima Repubblica, ad esempio l’indimenticabile Paolo Cirino Pomicino, «’o ministro», di cui le cronache narrano che capeggiò un’irruzione di tifosi nella sede partenopea della Rai per assistere in diretta alla partita del Napoli, agitando lo slogan «guaglio’, accà trasimme tutt’e quante». Ma di veri Masanielli, disposti a percorrere sino in fondo la loro traiettoria di autori e martiri della loro rivolta, non se ne sono visti tanti. Non era un Masaniello l’inventore dell’Uomo Qualunque, Guglielmo Giannini, che si preoccupava più che altro di interpretare i gusti di quell’Italia che tra fascismo e antifascismo si sentiva attratta dalla voglia di gridare «abbasso tutti» e di rifugiarsi nelle pieghe del proprio destino piccolo borghese e ministeriale. Anche andando a ritroso nel Novecento, non se ne trovano facilmente: Benito Mussolini, che di sicuro aveva in mente il «pòppolo», cominciò dalla rivoluzione per finire anche lui a cercarsi un profilo da uomo di stato e da fondatore di imperi: e quando diceva «Italia proletaria e fascista, in piedi…», tendeva più che altro a miscelare l’enfasi nazionalista con un riferimento di classe, da vecchio socialista qual era stato. No, bisogna andare più indietro. Si deve risalire a Cola di Rienzo, «tribuno del popolo» nella Roma esattamente di 650 anni fa (la ribellione da lui guidata è del 20 maggio 1347), passare per Michele di Lando, il capo del tumulto dei Ciompi nella Firenze di fine Trecento. Oppure, più avanti, pensare all’«Armata cristiana e reale» sollevata contro i giacobini napoletani dal cardinal Ruffo, composta di briganti come Fra Diavolo e di poveri contadini, un esercito di «banditi di Dio», reazionario come talvolta sa essere reazionaria la plebe, e giungere a Ciceruacchio, al secolo Angelo Brunetti, trascinatore di folle a suon di oratoria tribunizia durante la difesa della Repubblica Romana nel 1849, che nessuno ricorderebbe se non l’avesse ripescato a suo tempo Francesco Cossiga. Già, Cossiga, il più ribelle delle massime autorità, il presidente che dava tono e verve alla rivolta anti-istituzionale. Forse, al di là di Berlusconi, il vero Masaniello dei nostri tempi è stato lui.

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