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DOVE FALLI’ IL RISORGIMENTO VINCE IL CONTROPIEDE

13.06.1996
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PARLIAMONE

«Le passioni e gli interessi» è il titolo di un classico libro di Albert Hirschman, economista atipico, diciamo un trequartista, che dà l’idea di avere scritto diversi saggi con un occhio all’Italia. Ecco infatti la lealtà, la protesta, la defezione; e poi la futilità, la perversità, la messa a repentaglio: decida il lettore se questa terminologia si adatta meglio alla politica o al campionato. E allora, dato un terreno di gioco con le passioni sulla linea di fondo e gli interessi a centrocampo, c’è qualcuno capace di spiegare come si può trovare un modulo equilibrato fra la difesa dell’interesse, che secondo Umberto Bossi spingerebbe il Nord al separatismo, e l’attacco della passione, che eccita al tifo per l’indivisibile Italia del calcio? Altro che secessione. Perfino il federalismo di tutte le magie, nel football, non sembra la soluzione universale. Il pallone ha bisogno da un lato di orizzonti europei, mondiali, globali, dall’altro di campanili, di municipalismi, di antagonismi stracittadini. Nel mezzo, il Big Bang della passione, che alla fine, quando il gioco si fa duro, attrae anche i più duri: perché il calcio è davvero la scintilla che fa scattare l’identità nazionale, nel senso che dove fallì il Risorgimento talvolta riesce il Contropiede. Qualcuno forse ha dimenticato la festa di massa del 1982, dopo il trionfo sui tedeschi al Santiago Bernabeu? Sia lecito ricordare che dopo la vittoria nel Mundial tutti gli osservatori, a partire dall’uomo di regia Alberto Ronchey, cominciarono a parlare di nazionalismo, ben prima della virile partita contro gli americani a Sigonella. Calano i voti della Lega e aumentano le quotazioni della nazionale. Ci dev’essere una relazione. La secessione, ma in questo campo sarebbe più gentile chiamarla Sezession (in memoria di Sindelar, della Mitteleuropa, del gioco danubiano), verrebbe facilmente battuta dalla Zona corta. E intanto è piuttosto suggestivo che la Russia venga sconfitta con due gol di un gran «lumbard» trapiantato a Roma. Vittoria di un giorno? Quanto a domani, be’, ci si prepara ad affrontare la grande e crucca Germania con tutta la solennità richiesta da un avversario effettivamente storico. Viene anche il sospetto che potrebbe bastare una semifinale, non si dice la vittoria nel torneo, per rivelare che tutto sommato il Nordest non ha nessuna intenzione di iscriversi a qualche campionato straniero ma sta solo manifestando il bisogno di essere allenato meglio. Cinicamente, qualcuno segnalerà che la nazionale è l’unica forma di organizzazione collettiva che nel paese raccolga consenso, o comunque emozioni forti. Ma è comprensibile: se lo Stato non funziona sono guai senza appello; ma se la squadra di Sacchi non va, si può sempre fare entrare, per dire, Chiesa. Per l’appunto: Stato, Chiesa, stato di grazia, e sperare nel miracolo.

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