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E’ TEMPO DI UNA SCELTA RESPONSABILE

07.04.1997

I sondaggi dicono che il governo Prodi è al minimo di consenso, che il Polo ha superato l’Ulivo, e che anche la popolarità personale del presidente del consiglio è sul gradino più basso. Si respira aria di declino di un’esperienza politica e di governo, dato che ormai l’anomalia rappresentata da Rifondazione comunista viene percepita come non razionalizzabile. In realtà la questione comunista, cioè il potere di interdizione che Bertinotti ha assunto con spettacolare abilità, è stato certamente un grosso problema in più per il governo di centrosinistra, ma non è il problema centrale. Anche senza gli inciampi provocati da Rifondazione comunista, il governo avrebbe dovuto comunque intervenire pesantemente per riaggiustare i conti pubblici, agendo all’interno di una congiuntura economica stagnante, e dunque innescando inevitabilmente un effetto depressivo. Il ricatto politico costante di Bertinotti può avere sensibilmente peggiorato la qualità dei provvedimenti di politica economica. Eppure, ciò malgrado, Prodi e Ciampi possono rivendicare il rientro nello Sme, l’abbattimento dell’inflazione, la riduzione del deficit vicino al parametro del tre per cento. Sono stati drenati centomila miliardi dal sistema italiano: non si è assistito al crollo dell’economia, ma di sicuro si è ancora lontani dal momento in cui si avvertiranno i vantaggi comportati da questo faticoso e spesso contraddittorio ritorno alla virtù. In questo momento ci troviamo in effetti ancora nel pieno della curva discendente. Si avverte il peso delle misure finanziarie, i ceti di reddito medio-superiore cominciano a misurare il fastidio dell’Eurotassa, le imprese fanno i conti di quanto costerà l’anticipo delle tasse sui Tfr, il mercato è freddo. E soprattutto non si dirada la sensazione di incertezza, che dura dal varo del Dpef e che ha accompagnato tutta la discussione della Finanziaria, prolungandosi poi fino alla manovra correttiva di marzo. È un’incertezza a due facce. Da un lato investe l’efficacia della politica economica praticata: insomma, saranno utili o inutili le misure introdotte? Saranno sufficienti o no per guadagnare l’ingresso nell’Unione monetaria? E dall’altro lato: quando si potrà uscire dall’apnea, tornare con un po’ di fiducia sul mercato, ricominciare a consumare senza timore del futuro, vedere crescere l’occupazione? Inutile sottolineare che nelle condizioni attuali tutte queste domande non hanno risposte significative. Questo già di per sé si riflette negativamente sul consenso al governo. Bisogna poi aggiungere che è già sul tappeto il prossimo importante appuntamento politico, vale a dire la discussione sulla riforma dello stato sociale. Cioè quell’intervento profondo, strutturale e politicamente impegnativo che il governo ha promesso di essere capace di fare proprio mentre si dimostrava incapace di fare alcunché di strutturale con la manovrina pasquale. In questa situazione, ogni incidente di percorso rischia di diventare irresistibile la tentazione di fare saltare gli schemi con qualche operazione avventuristica. L’avventura può essere il governo «di minoranza», cioè un governo sostenuto dall’Ulivo senza Rifondazione, disposto a navigare a vista in Parlamento. Così come avventuristico può essere un governo di larghe intese, e comunque tutto ciò che tendenzialmente rimescola e mette in crisi il precario bipolarismo che abbiamo raggiunto. Quando si dice che l’unica preoccupazione di Prodi è durare, si tratta ad un tempo di un’accusa e un riconoscimento. È solo con la durata, infatti, che si può mettere in luce la capacità di governo contenuta in una coalizione politica. O viceversa la sua incapacità. Se al termine di una parte significativa della legislatura ci si accorgesse che il centrosinistra (con Rifondazione) non è riuscito a esprimere una sintesi di governo efficace, anche questo sarebbe un risultato molto utile da sottoporre alla valutazione dei cittadini. Altrimenti, nel caso di una caduta prematura, ci sarebbe sempre l’alibi del «non ci hanno lasciato lavorare». Bertinotti diventerebbe l’alibi di Prodi e D’Alema per giustificare un fallimento politico, più o meno come Bossi lo fu per Berlusconi. Questo non è il momento per immaginare soluzioni rocambolesche. È il tempo soprattutto della responsabilità: il che implica un confronto senza ipocrisie dentro la coalizione di governo, un faccia a faccia senza riserve. Perché la soluzione, che riguardi la missione albanese o la ristrutturazione del welfare, si deve trovare lì, dentro la maggioranza, e in nessun’altra parte. Tutto il resto fa parte di quel repertorio di soluzioni immaginarie che animava la politica della Prima Repubblica: un magazzino di trovate che si sperava fosse alle spalle.

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