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ESERCITO E OPINIONE PUBBLICA

23.06.1997

Ne arriveranno altre, di notizie choc, dalla Somalia. Denunce di stupri, sevizie, brutalità. Un’operazione come quella condotta in Somalia lascia inevitabilmente dietro di sé uno strascico incontrollabile di rancori. I rastrellamenti, i controlli, la sbrigatività necessaria delle azioni di bonifica in zone in cui agivano bande guerriere e clan banditeschi offrono infinite occasioni per esercitare rivalse, praticare vendette, eventualmente chiedere risarcimenti e indennizzi. Basta qualche denuncia, infatti, e l’opinione pubblica rimane scossa, in preda ai dubbi. Eppure, di qui a precipitare la spedizione italiana in Somalia nell’atmosfera livida e moralmente corrotta di un provinciale Apocalypse Now, dovrebbe correrne. Non perché non si siano verificati episodi piuttosto vicini o anche al di là dell’orrore, come quelli documentati dalle fotografie pubblicate da Panorama. Ma sarà lecito valutare che si tratti di eccezioni: altrimenti si dovrebbe pensare che non soltanto i soldati e i graduati, ma anche i loro ufficiali fino ai gradi più alti erano coinvolti in un gioco inconfessabile, e sarebbero legati oggi da una complicità sordida, fondata sulla colpevolezza di tutti, e sostenuta per anni da un’omertà impenetrabile. È credibile, un ricostruzione del genere? Anche quando le accuse più incresciose vengono giudicate non credibili dai rappresentanti somali in Italia? La risposta non implica atti di fede. Il punto non è se ci sentiamo di giurare sulla correttezza del nostro esercito. Tuttavia non si può trascurare che le accuse contro le forze armate si sono diffuse nella pubblica opinione e in politica trovando terreno favorevole. Si sono risentite le vecchie cantilene antimilitariste, le richieste di scioglimento della Folgore, i sospetti sui corpi speciali concepiti come culle di intolleranza. Per questo ha ragione il ministro della Difesa nel dire che la nostra società deve «fare pace» con le forze armate. Anzi, diciamo che questa dovrebbe essere l’occasione per rifare il «contratto» con l’apparato militare. Perché una società democratica ha bisogno di forze armate che condividano gli interessi e i valori di una nazione democratica, attraverso un reciproco legame di solidarietà e di simmetrica legittimazione. Oggi invece si direbbe che c’è il rischio di assistere al riformarsi di una separatezza potenzialmente incolmabile. Spesso nelle parole dei militari sembra di sentire la disperazione di chi si sente sopraffatto da accuse incredibili, lo sbalordimento di chi ritiene impossibile che certe imputazioni possano essere prese per buone e si accorge invece che i colpevolisti abbondano. Sarà bene dirlo con chiarezza: noi non dobbiamo e non possiamo giocarci le forze armate. Non dobbiamo dimenticare che nel corso degli anni esse sono cambiate in profondità: chi ha in mente i reparti speciali e le loro preferenze ideologiche negli anni dei «rumori di sciabole» e del Piano Solo dovrebbe essere in grado di valutare con un buon grado di approssimazione l’ammodernamento dell’esercito e dei corpi militari di punta, e anche il loro atteggiamento indubbiamente leale verso le istituzioni democratiche. Per questo occorre rifare il patto con l’apparato militare: da una parte per avere confermata questa lealtà; e dall’altra per garantire la legittimazione democratica delle forze armate. Lealtà significa nel caso delle vicende somale la collaborazione esplicita dei militari, a ogni livello, nella soluzione dei casi più controversi. Ma da parte della nazione democratica non può mancare a sua volta la dichiarazione di un atteggiamento di fiducia verso le sue forze armate. Perché, se si approfondisce la delegittimazione di oggi, la distanza fra la nostra democrazia e le sue forze di difesa diventerà troppo ampia. Questa non è una condizione che implichi di per sé scenari di slealtà istituzionale; ma l’incomunicabilità e, peggio, la diffidenza fra una società e le forze armate sarebbero perlomeno una difficoltà in più nel processo di stabilizzazione politica e istituzionale che stiamo faticosamente affrontando. Sarebbe una difficoltà grave. E per evitare difficoltà di questo tipo, è meglio non indulgere a giochi di credulità, cioè di irresponsabilità.

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