gli articoli LA STAMPA/

GLI UNTORI DELLE DICERIE

06.06.1997
SOCIETA' E CULTURA
FERMATA A RICHIESTA

Diciamo così: che le grandi inchieste giornalistiche sui casi giudiziari degli ultimi due decenni sarebbero effettivamente grandi se riuscissero a inchiodare il presunto colpevole ai crimini commessi. Succede di rado. Prendiamo il caso del libro dei giornalisti dell’Espresso Leo Sisti e Peter Gomez, L’intoccabile. Berlusconi e Cosa nostra (Kaos edizioni). Si raccolgono degli atti giudiziari, se ne fa un collage, si commentano. Naturalmente non ne viene fuori una notizia che colleghi in modo dimostrato i due soggetti del titolo, cioè il Cavaliere e la Mafia. Piuttosto, indizi, emblemi, spie: si tratta di uno strano genere letterario, e di un singolare tipo di editoria, che non offrono ai lettori i fatti, crudi o decotti, freschi o sbolliti, ma illumina il «contesto». Dal quale, si presume, i lettori dovrebbero formarsi un’opinione, vale a dire – in assenza di rivelazioni certe – confermare i propri pregiudizi, la propria fede. Si crede per tanti motivi: per la speranza di vedere scomparire un avversario politico, perché «decine di indagini vorranno pur dire qualcosa», perché aspettiamo le «casse inglesi» (già, dove sono finite?), perché il sospetto sarebbe l’anticamera della verità, o anche semplicemente «quia absurdum» e in quanto tale è suggestivo e dietrologicamente perfetto. Ancor prima che un modo scandalistico di fare editoria questo è un modo di ragionare distorto. Nell’impossibilità di passare direttamente alla condanna, si illustrano molte ipotesi di colpevolezza virtuale. Ed è così che si alimenta uno schema di pensiero da mito metropolitano: non importa che il racconto sia vero, ciò che conta è che si diffonda. Ma se la verità non risiede nella realtà bensì nella diceria, non c’è da stupirsi se domani crederemo agli untori.

Facebook Twitter Google Email Email