È davvero eccezionale, l’iniziativa con cui il presidente della Repubblica ha convocato al Quirinale il governo per essere informato sul problema della disoccupazione e sulle misure che sono in programma per contrastarla. Proprio per la sua eccezionalità deve essere valutata con attenzione. Perché il primo impulso è di reagire sottolineandone alcuni aspetti «politici» che appaiono criticabili in quanto tali. La questione del lavoro, infatti, non è esplosa all’improvviso: era complicata ieri e sarà un rompicapo domani e anche negli anni venturi; proprio per questo diventa automatico valutare l’improvviso intervento del capo dello Stato in riferimento non tanto al problema in sé quanto alla situazione politica di questi giorni, turbata da minacce di instabilità e da conflitti all’interno della maggioranza che possono preludere a una crisi. Sotto questo profilo, è tutto da vedere in realtà se l’iniziativa di Scalfaro avrà effetti positivi o negativi sull’esecutivo e sulla maggioranza che lo sostiene. Può essere considerata una mano tesa, se otterrà lo scopo di limitare la conflittualità con Rifondazione comunista nella prospettiva di varare più rapidamente misure di superiore interesse sociale. Ma nello stesso tempo può anche essere giudicata come un gesto che sottolinea l’inerzia del governo, e che intende ricondurre la sua azione verso un obiettivo primario, colpevolmente trascurato in questi mesi. Tuttavia che a destra si protesti e a sinistra si approvi illustra piuttosto efficacemente il carattere inevitabilmente politico dell’operato di Scalfaro. Il Polo ha considerato l’iniziativa presidenziale come un intervento a favore del governo, e ha scatenato un’aspra polemica. Il centrosinistra ha visto nelle preoccupazioni presidenziali l’occasione per trovare un minimo comune denominatore nella coalizione, e ha applaudito. Certo, Scalfaro può essere stato mosso da ragioni anche estranee alla dialettica politica: nella sua funzione costituzionale di garante dell’unità nazionale il presidente della Repubblica può avere considerato che il drammatico divario nei tassi ufficiali di occupazione del Mezzogiorno rappresenti di per sé una ferita alla compattezza della collettività, una lacerazione inferta al principio di una cittadinanza «fondata sul lavoro». E in questo senso le recenti manifestazioni dei disoccupati a Napoli e a Messina possono avere rafforzato questa convinzione. Ma se questo è vero, non è lo Scalfaro «politico» che va criticato. Di fronte a un’emergenza infatti sarebbe stato in primo luogo più opportuno non limitarsi a coinvolgere il governo, come se si trattasse soltanto di predisporre gli strumenti tecnici, come la decretazione d’urgenza, per rendere più efficiente una gestione politica. Se l’occupazione è un’emergenza nazionale, e su questo non dovrebbero esserci dubbi, allora sarebbe stato il caso di coinvolgere l’intero Parlamento, con lo strumento costituzionale del messaggio alle Camere. Altrimenti da un lato è inevitabile che anche le più nobili intenzioni vengano decodificate e interpretate in chiave politica. E dall’altro non sfugge a nessuno che questo rinnovato interventismo del capo dello Stato ha una curiosa ma perfettamente percepibile sfumatura «francese», vale a dire semipresidenzialista. Ma non è detto, anzi è fuori discussione, che quanto è prerogativa di Chirac lo sia anche di Scalfaro. Almeno per ora, la nostra è ancora una Repubblica parlamentare. Il presidente della Repubblica non ha un «suo» governo di cui è tutore o controllore. Non è proprio il caso di censurare il capo dello Stato per leso parlamentarismo. Tuttavia occorre segnalare che anche quest’ultimo caso mette in rilievo una sostanziale, anche se lenta e neppure deliberata, «deriva» presidenzialista. Ciò significa che nell’incertezza politica che si è verificata in questi ultimi anni, e nella debolezza costante dei governi, il ruolo del presidente della Repubblica si è amplificato, ha preso a occupare spazi istituzionali nuovi, a esercitare supplenze. Di volta in volta, Scalfaro si è autonominato garante di Berlusconi rispetto alla condizione di proprietario televisivo, ha gestito con indubbia abilità la fase del ribaltone, è stato il regista del governo Dini. Oggi interviene sul lavoro, cioè su uno degli aspetti qualificanti di qualsiasi programma di governo. Dire che la sua è un’azione è politica significa allora non cogliere l’entità del problema. Che non è la coloritura di Scalfaro come uomo politico mascherato, ma la necessità di ridare a ciascuno il suo: cioè ridisegnare le istituzioni per trovare un equilibrio riconoscibile fra i poteri dello Stato.
06.03.1997