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LA SOMMA DI DUE SCONFITTE

13.11.1996

Ciò che si vede in questi ultimi giorni, dopo l’abbandono dell’aula di Montecitorio da parte del Polo, è un grave degrado della qualità della democrazia del nostro Paese, e stupisce che di fronte alla drammaticità del momento siano state così poche le voci che si sono affiancate a quella di Norberto Bobbio, che ieri su questo giornale ha stigmatizzato aspramente la scelta «irresponsabile» del centrodestra (e della Lega). Vale per le scelte politiche il criterio che esse devono essere adeguate all’entità dei problemi. Nel caso del Polo, invece, si è assistito alla scelta di un arma smisurata, che alla fine potrebbe ricadere non solo su chi l’ha lanciata ma su tutti i protagonisti in campo e produrre devastazioni nel sistema politico. Già adesso non si vedono vincitori possibili dello scontro; anzi, è possibile che in questo momento siano visibili soltanto due sconfitte simmetriche, una dell’opposizione e una del governo. Il Polo infatti ha creduto di potere incassare subito, in moneta politica sonante, il successo ottenuto a Roma sabato scorso. Sull’onda dell’entusiasmo per la conquista della piazza si è convinto di poter tentare una spallata con l’obiettivo di abbattere il governo. Mentre si possono individuare facilmente quali sono state le valutazioni che hanno fatto da sfondo a questa decisione, riesce al contrario incomprensibile come mai il Polo abbia creduto di poter effettivamente giocare la carta estrema dell’aventinismo sperando di ottenere qualche risultato. Quando infatti si apre un conflitto giocandosi tutto all’inizio, in seguito non ci sono risorse supplementari da schierare ed è impossibile graduare efficacemente l’iniziativa. Il fatto è che evidentemente Berlusconi, Fini e i loro alleati minori hanno creduto in una debolezza mortale del governo. Se ne devono essere convinti dopo il successo della mobilitazione di sabato scorso, che muoveva da un programma di protesta fiscale ma che conteneva almeno due altri aspetti politicamente caldi: l’identificazione del governo dell’Ulivo come un «regime» paracomunista, con la propensione all’occupazione del potere e a comportamenti illiberali, e l’attacco personale a Prodi come «Pinocchio», il grande bugiardo, la sintesi di ogni malvagità cattocomunista. Il Polo avvertiva dunque il bisogno di intascare qualcosa subito. Secondo buon senso, anche un compromesso sulle deleghe della Finanziaria, dopo la marcia in San Giovanni, in quanto «imposto» al governo da una posizione di forza, avrebbe rappresentato presso l’opinione pubblica una sostanziale vittoria. Mentre scegliendo la via del gesto estremo, ogni eventuale mediazione sarebbe sembrata un arretramento e quindi un insuccesso. Sotto molti aspetti quindi l’iniziativa del centrodestra è sembrata un esempio di cecità tattica. Perché non fosse tale occorreva che ci fosse una realistica possibilità di far cadere il governo. Ma qualcuno poteva razionalmente credere che in questo momento di emergenza, durante l’iter di una legge finanziaria decisiva per le sorti italiane, ci fosse una, una sola chance di sostituire in corsa il governo Prodi? Con tutto questo, anche il governo oggi veste i panni della sconfitta. Nessuno può credere che il poter votare più rapidamente la Finanziaria costituisca qualcosa di positivo dal punto di vista politico. Ogni giorno che passa si ha un’altra prova dello straordinario potere che Rifondazione comunista ha guadagnato sulla coalizione di governo. Ogni giorno aumenta la sofferenza del Pds, spina dorsale della maggioranza e vittima designata dell’accordo che lega sempre più stabilmente Prodi a Bertinotti. Sono due sconfitte diverse, naturalmente. Quella del Polo implicherebbe di per sé rilanci sempre più alti, che non si sa dove possano portare, e potrebbero condurre anche a un contraccolpo sfavorevole da parte dell’opinione pubblica moderata (confermando lo regola, tante volte applicata alla sinistra, secondo cui vincere in piazza non significa vincere politicamente). La sconfitta del governo è più sottile, strisciante, piena di inquietudini. Il centrosinistra puntava a governare in modo consensuale, e si trova ora a gestire uno scontro politico durissimo. Fino a qualche mese fa l’Ulivo poteva sperare di conquistare alla propria parte ulteriori fasce di ceti mediani, mentre oggi l’esecutivo Prodi, volente o nolente, appare come un governo marcatamente di sinistra. Doveva assecondare le riforme istituzionali, e oggi non si sa che fine farà la Bicamerale. Ma in entrambi i casi si tratta di sconfitte pesanti, che rischiano di lasciare tracce profonde se non ci sarà uno sforzo supplementare di composizione. L’unico, minimo aspetto positivo è che forse a questo punto nessuno dovrebbe avere interesse a rilanciare: il Polo per non venire accusato di avventurismo, il governo per non lavorare in glaciale solitudine. È su questa infinitesimale condizione che si gioca nelle prossime ore la possibilità di tornare a un conflitto politico di nuovo «normale».

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