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L’ALTERNATIVA NON E’ IL PASSATO

02.12.1996

Malgrado l’alone di imprecisione che circonda i suoi orientamenti e le sue scelte, il governo Prodi ha puntato buona parte della propria credibilità politica sul raggiungimento di alcuni dei parametri di Maastricht, in modo da poter partecipare fin dal 1999 all’Unione monetaria. Quindi il governo di centrosinistra non ha vie di scampo: o centra l’obiettivo europeo, oppure è politicamente finito. Diverso sarebbe stato se, di fronte alla determinazione dei principali paesi europei di procedere verso l’Euro, si fosse valutata la partecipazione italiana alla moneta unica come un evento dai tempi troppo stretti e dalle modalità troppo rigide. Era stato Prodi stesso a dire e a ridire ai suoi critici che voleva portare in Europa «un paese vivo e non un paese morto», e quindi la soluzione di un ritardo programmato, concordato puntualmente con i partner europei, sarebbe stata tutt’altro che irrazionale. Ma poiché il governo ha deciso di tentare il tutto per tutto al fine di prendere parte all’unione monetaria fin dalla prima fase, la discussione sull’opportunità di ritardare l’ingresso italiano (in modo da alleggerire la pressione sulla società e l’economia del nostro paese) dovrebbe di per sé avere poco spazio, almeno se si prendono alla lettera i pronunciamenti di prodi e Ciampi. In realtà sulla fermezza di Prodi qualche dubbio è lecito, visto che parlando con lo Herald Tribune ha accennato alla possibilità di avvicinare, ma non di raggiungere, il parametro del deficit pubblico al 3 per cento del Pil. Questione di pochi decimali. Ma dietro quei decimali, che pure possono scavare un solco fra l’Europa e l’Italia, c’è anche una questione politica rilevante. Il governo dell’Ulivo ha compiuto infatti un investimento altissimo sulla dimensione europea. Ha chiesto ai cittadini un contributo pesante, non solo attraverso tasse specifiche, ma anche mettendo in conto un indebolimento della congiuntura economica, un rallentamento alla crescita del reddito, un raffreddamento dei consumi. Ma appunto per questo occorre mettere in conto un aspetto complementare. Si possono infatti chiedere sacrifici, imporre nuove tasse, si può imboccare un sentiero di estremo rigore; ma tutto questo a una sola condizione: che le misure adottate dal governo vengano percepite senza ambiguità dai cittadini come la fase decisiva e finale del risanamento. Se invece si rimane fra contorni di incertezza la situazione cambia, e cambia radicalmente. Perché se alla fine del primo trimestre ci si rendesse conto che i provvedimenti assunti fin qui non sono riusciti a mettere il deficit pubblico in linea con Maastricht, non ci troveremmo più dentro una questione contabile, in cui si tratta di ridurre i decimali alla ragione. Ci troveremmo invece dentro una questione duramente politica, dove quei decimali diverrebbero montagne. In sostanza, è difficile capire se il governo ha valutato sino in fondo le possibili implicazioni della sua scommessa europea. E soprattutto se ha messo in conto il contraccolpo bruciante che si avrebbe nel caso che la prospettiva europea restasse lontana malgrado gli sforzi richiesti al paese. Di qui a marzo, potrebbe diventare necessaria una manovra correttiva. Ma questo governo è in grado di affrontare una fase di ulteriore severità finanziaria? Oppure ha già bruciato sulla finanziaria e l’eurotax tutte le sue risorse politiche e la sua credibilità? L’opposizione, o meglio, le frange più movimentiste del Polo, incarnate dal Ccd, hanno già scommesso che il governo attuale non sarà in grado di reggere il peso politico della possibile nuova stangata. Fare politica significa anche disegnare scenari: e dunque Pierferdinando Casini si è fatto portavoce della possibile soluzione nel caso di una «maledetta primavera»: governo di unità europea, con l’esclusione di Rifondazione comunista, ma ancora presieduto da Prodi. Sorpresa. fino a ieri, il Polo chiedeva o si augurava la caduta del governo Prodi, considerandolo il responsabile di un plumbea recessione. Oggi i postdemocristiani del Polo sono disposti ad accettare anche un Prodi bis. A quale scopo? Ma di rientrare nel gioco politico, naturalmente; e auspicabilmente di far saltare la linea di divisione fra il Polo e l’Ulivo, cioè il crinale del bipolarismo. Tutti insieme per l’Europa significa rimescolare le carte, mettere la politica in un crogiuolo, forse provocare la fusione dei Poli per favorire la nascita di qualcos’altro, nuove ricomposizioni, nuove aggregazioni. È un disegno politicamente efficace: solo che per raggiungere il nobile approdo dell’Europa propone in cambio di rifare qualcosa di simile all’Italia della proporzionale. Per adesso, in realtà, è bene che ciascuno affronti gli esiti delle proprie azioni secondo un criterio vincolante di responsabilità. Quindi è bene che il governo affronti la campagna di primavera assumendosi tutto il peso dei risultati che avrà ottenuto, positivi o negativi. Dato che sulla questione europea ha impegnato tutto, sarà opportuno che interpreti il responso sull’efficacia delle politiche attuate come un giudizio definitivo. Lo ha detto lo stesso Prodi: «se non andiamo in Europa mi dimetto». Nella sua concisione era un ottimo programma, e c’è da augurarsi che venga interpretato con la coerenza che merita.

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