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L’IMPORTANTE E’ FARE SURF SULL’ONDA DEL SENTITO DIRE

08.10.1997
SOCIETA' CULTURA E SPETTACOLI
LA GRANDE SOVRANA

Sapere qualcosa implica un confine. L’ignoranza invece è davvero sovrana: si può ignorare tutto. Risiede qui il vero approccio «interdisciplinare», sono questi i «percorsi» e «gli itinerari», «i crocevia» di cui sono ricchi i convegni, le quarte di copertina, i corsi di aggiornamento, fra Otto e Novecento, fra politica e cultura, fra economia e società: che cosa c’è di più aperto, disponibile, spalancato, dell’ignoranza? Si può diventare ignoranti su qualsiasi terreno, area, materia. Ci sono persone che a un certo punto della loro vita decidono che non vorranno mai saperne di qualcosa: una volta poteva essere la psicoanalisi, oggi sarà il mondo digitale di Negroponte. Ma perché essere ignoranti parziali quando c’è l’opportunità dell’ignoranza totale? L’importante è avere un lessico, un’attrezzatura linguistica da «tecnico dell’universale»: ciò che vale non è conoscere la storia (santo cielo, quei pedanti che citano Crispi o Giolitti, Depretis o Sonnino), bensì parlare astrattamente della storia stessa. Saper dire: «l’irruzione delle masse nella politica del Novecento», oppure «gli anni del consenso nel ventennio», senza saper niente né di masse né di ventenni. La versione più scafata dell’ignoranza consiste infatti nel tradurre tutto dal concreto all’astratto. Guai a usare un nome proprio, solo generalizzazioni. Keynes lo si può ignorare, il keynesismo no. Sapere niente del Meridione è consentito purché si sappia qualcosa del meridionalismo. La regola è: scivolare voluttuosamente sulla superficie dei concetti, come in un funambolico surf sull’onda del sentito dire. Così facendo, sarà difficile avere delle cognizioni, ma niente vieta di avere delle convinzioni. Fragili ma assolute. Precarie ma definitive. Definitive ma permutabili. Ieri si scommetteva sul marxismo, lo strutturalismo, la sociologia. Più tardi su Nietzsche, Heidegger, il pensiero debole, il ritorno del pensiero forte, magari Wojtyla: l’importante è essere nel trend. Perché stando lì non si sbaglia mai: insomma, non si è diventati sostenitori del bipolarismo ignorando pressoché tutto dei sistemi effettivamente bipolari? Non ci si è schierati per il doppio turno perché sembrava più elegante, e in più l’aveva detto Sartori? E alla fine non ci si è schierati contro Sartori perché, dai e dai, ci era venuto a noia? Il vero ignorante è quello che flirta con le soluzioni senza scampo: l’individualismo, l’ultraliberismo, la deregulation; ma poi, no, si cambia idea, radicalmente: ci vuole la comunità, il legame sociale, il bene comune, abbasso Milton Friedman, evviva Amartya Sen, o anche Bertinotti. È una festa, essere ignoranti: significa poter essere spregiudicati come quella volta che si liquidò trionfalmente Marx a favore di Proudhon. Oggi si potrebbe abbandonare lì per lì Hayek e Popper, dopo un fatuo innamoramento, e prendere una sbandata tardiva per Rawls (ah, il contrattualismo!) o per Dossetti (se si ha qualche propensione mistica). Bisogna solo avere un metodo. Non importa conoscere l’opera di Dahrendorf, ma saperlo trattare come «uno dei capifila del pensiero liberale contemporaneo», anche se nel frattempo fosse passato in seconda fila. Funziona per qualsiasi genere culturale o artistico o spettacolare: Trainspotting è «un inquietante documento sociologico» che lo abbiate visto o no, l’Espressionismo a Palazzo Grassi è «una rassegna degli incubi del secolo», e il Milan di Berlusconi e Capello «è un’accozzaglia di stranieri», anche se non lo si è mai visto giocare. Gli ignoranti sono onnivori, eclettici, versatili, poliedrici. Quanto agli studiosi, ai competenti, ai disciplinati, il Terzo Millennio e la Globalizzazione abbiano pietà di loro.

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