Le prime cifre elettorali che affiorano dallo spoglio dei voti nel collegio del Mugello sembrano attribuire un notevole successo ad Antonio Di Pietro. Un successo che fa piazza pulita della campagna elettorale «più bizzarra del mondo». Malgrado molti aspetti folcloristici, infatti, questa competizione contiene anche qualcosa di esemplare, per cui è ovvio trarne indicazioni consistenti per la politica nazionale. Il primo aspetto è che con l’elezione di Di Pietro il centrosinistra completa vittoriosamente il proprio assortimento politico. L’opposizione ha preso l’abitudine di strillare al regime con un automatismo ovvio, senza nemmeno preoccuparsi se in questo modo dietro la durezza delle parole mostra la propria disarmante debolezza politica, ma resta il fatto che con l’operazione Di Pietro lo schieramento di maggioranza assume definitivamente tutte le caratteristiche di una forza politica «pigliatutto», estesa dal moderatismo postdemocristiano al massimalismo anticapitalista (con quest’ultimo che si concede molte licenze ma non tradisce mai sino in fondo). Si tratterà di vedere se Di Pietro è un buon alleato o un uovo di cuculo, ma per ora l’inserimento sembra riuscito: con l’ex magistrato i voti aumentano rispetto all’Ulivo. Per il Polo, la campagna del Mugello era un’operazione di pura testimonianza, in cui Giuliano Ferrara, uno degli ispiratori del berlusconismo si è sacrificato in modo autodistruttivo, con un furore antidipietrista che probabilmente gli ha attirato molto più rancore che voti. Ma se la sconfitta nel collegio toscano era già scritta, e restavano da definirne solo le proporzioni, si possono sottolineare invece come estremamente negativi per il Polo i modi in cui è maturata. L’avere mostrato cioè a tutta l’opinione pubblica che Forza Italia «odia», come Ferrara in tv ha detto di odiare, colui che ancora molti italiani e forse anche diversi elettori di An e del centrodestra considerano ancora una specie di eroe popolare. E in ultimo la clamorosa conclusione del conflitto tra lo stesso Di Pietro e il direttore del Giornale Vittorio Feltri, che è stata percepita come una pietra tombale sulla credibilità delle accuse contro l’ex magistrato. Il risultato del Mugello andrà letto in relazione con i risultati delle amministrative nei grandi comuni il 16 novembre: perché se dovesse avverarsi l’effetto domino che molti prevedono, cioè uno sfondamento trionfale del centrosinistra, il Polo entrerebbe in una fase di piena turbolenza. Ormai da diverso tempo il centrodestra appare in deficit di iniziativa e credibilità politica. I sussurri e gli ammiccamenti su un imminente sgocciolio di parlamentari dal Polo all’Ulivo, sull’esempio di Ombretta Fumagalli Carulli, chiariscono bene come sia difficile restare utilmente all’opposizione. Le difficoltà e le contraddizioni dell’opposizione sono l’altra faccia dell’Ulivo nella sua versione mugellesca. Mentre il centrosinistra tenderà infatti inevitabilmente a consolidarsi, a occupare fisiologicamente uno spazio politico sempre maggiore, il Polo potrebbe essere alle soglie di un processo dissolutivo. La politica italiana dei prossimi mesi sarà quindi dominata da alcune domande di base: riuscirà un Ulivo così differenziato ed esteso a esprimere un minimo di programma riformatore senza impaludarsi nelle prorpie differenze? E, sull’altro crinale, un’opposizione ai minimi termini è lo strumento più adatto per introdurre qualche stimolo al rinnovamento? Oppure, per caso, non saremmo già orientati sulla strada di un’antica malattia italiana, quella di un sistema immutabilmente perfetto, senza governo e senza opposizione?
10.11.1997