gli articoli LA STAMPA/

POPPER L’EREDITA’ CONTESA

09.01.1997
SOCIETA' E CULTURA
Era considerato fuori moda, da alcuni anni tutti lo riscoprono

L’aspetto più attraente della pensiero di Karl Popper è sempre stato la sua traducibilità divulgativa. Letto Popper, si poteva pensare di avere una cassetta degli attrezzi per aprire il meccanismo del mondo moderno e osservarne il funzionamento e i pezzi sparsi. Il metodo popperiano si era rivelato poi straordinariamente efficace, e anche felicemente anticonformista, quando era venuto il momento di discutere le «teorie», o meglio i costrutti utopico-mitologici, con i quali il pensiero della sinistra folk aveva edificato in Italia, durante gli anni Settanta, un teatro del mondo pretendendo di sostituirlo al mondo effettivo. Per chi le aveva incontrate, le parole di Popper erano state un balsamo deliziosamente minimalista, a fronte dei minacciosi massimalismi in circolazione allora. La società «aperta» era una boccata d’aria rispetto ai plumbei progetti di collettività pianificate. I suoi conflitti «deboli» ma incessanti, connaturati alla vita collettiva, confluivano in un sistema di descrizione che appariva infinitamente più ricco, moderno, addirittura spumeggiante, rispetto ai sistemi interpretativi fondati sui principi della lotta di classe. La definizione della democrazia come un semplice antidoto alla dittatura era perfino entusiasmante, se paragonato alla retorica con cui la parola democrazia veniva agitata e stravolta. La società aperta implicava domande non su chi (il popolo, i filosofi) deve comandare, ma su come si possa strutturare un sistema di controlli istituzionali per impedire che chi governa faccia troppi danni. C’è un prima e un dopo, anche per Popper. Prima, e si intende prima dell’Ottantanove, ad eccezione di alcune cerchie illuminate lo si considera un filosofo fastidiosamente fuori moda, un mitteleuropeo conservatore, un intellettuale arido e vecchio stampo, un «liberale». Dopo, cioè dopo la caduta del muro e della cortina, diventa una specie di guru popolare. Alla ricerca di fornitori di paradigmi, gli orfani del pensiero ideologicamente forte hanno creduto di trovare nel vecchio oppositore del neopositivismo viennese e della Scuola di Francoforte il nuovo Grande Solutore, il possibile timoniere che guida la zattera tra i flutti del naufragio postmoderno. Solo che Popper, per l’appunto, fornisce un metodo, o un antimetodo. Che risulta straordinariamente efficace per congetturare, smentire, falsificare, mettere alla prova e sconfiggere un numero sterminato di «ismi». Ma non dice poi granché sul «che fare». Va bene per un bagno di liberalismo, non per allestire un programma politico. Tanto più che oggi nuovi problemi sorgono e si affollano entro la società sempre più aperta, «globalizzata»: l’informazione e la comunicazione, che dovevano essere il bene primario del mercato, stanno diventando un sovraccarico insostenibile e quindi una fonte di distorsioni. La produzione di immaginario, a partire dalla televisione, ha perso di vista le convenzioni etiche e insidia l’umanità dall’infanzia. Su un altro piano, la creazione di merci senza lavoro umano, come la crescita economica senza recupero dell’occupazione, implica dilemmi inediti, e richiede soluzioni originali: nella speranza che la società aperta, il mercato, il capitalismo liberale, avendo sconfitto i loro nemici ideologici, non vengano sopraffatti dalla loro fisiologia, e rischino di morire del loro stesso successo.

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