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PRESIDENTE ALLA FRANCESE O ALL’ITALIANA?

28.11.1997
SOCIETA' E CULTURA
A Bologna politici e studiosi dei due Paesi a confronto sui modelli di riforma istituzionale

Un faccia a faccia tra costituzionalisti, politologi, uomini politici ed esponenti delle istituzioni. In discussione, il presidenzialismo: quello francese, reale, e quello italiano, virtuale. Il tema del Primo convegno italo-francese, che si tiene oggi e domani a Bologna, organizzato dalla Facoltà di scienze politiche insieme con il Servizio culturale dell’ambasciata di Francia, è infatti «L’istituzione presidenziale: caso francese e ipotesi italiana». Che la discussione del progetto uscito dalla Bicamerale sia scivolato all’anno venturo non toglie niente all’attualità dell’iniziativa, che per la parte francese si avvale della sigla culturale della rivista Pouvoirs e di Le Monde, affiancati per il nostro Paese da il Mulino e La Stampa. È previsto infatti uno schieramento ragguardevole di esperti di sistemi costituzionali: fra gli altri, Piero Ignazi, che aprirà i lavori (una sintesi della sua introduzione è pubblicata in questa pagina), Augusto Barbera, Carlo Guarnieri, Oreste Massari, Angelo Panebianco, Gianfranco Pasquino, mentre sul versante francese spiccano i nomi di specialisti come Hugues Portelli, Yves Mény e Jean Luc Parodi. Sabato mattina invece sarà la volta del confronto esplicitamente politico, con la presenza di Leopoldo Elia, Domenico Fisichella, Stefano Passigli, Giorgio Rebuffa, Cesare Salvi e il presidente del Senato Nicola Mancino. Forse nulla come la soluzione presidenziale rappresenta un discrimine cruciale fra il passato e il futuro della Repubblica. E il modo rocambolesco con cui essa è prevalsa nella Commissione per le riforme (con l’intervento decisivo della Lega a scombinare i giochi), insieme ad affannosi tentativi di stemperarne la portata, la dicono lunga sulle aspettative e sulle paure che essa induce. Non c’è in discussione soltanto un passaggio formalistico tra assetto parlamentare e regime presidenziale. Le ricadute sull’intero sistema politico potrebbero essere infatti molto consistenti. Perché il sistema presidenziale non si limita a spostare il baricentro del potere, riducendo e talora marginalizzando il ruolo del Parlamento: concentra l’azione politica nella leadership, la personalizza, tende a rimodellare i partiti in funzione del capo. È per questo che una parte significativa della Bicamerale, e specialmente quella collocata nel centrosinistra, ha cercato strenuamente di temperare il presidenzialismo, limitando i poteri del capo dello Stato e mantenendo al Parlamento molte prerogative. Inoltre fuori dalla Commissione è stata concordata una ulteriore riforma della legge elettorale, che sembra pasticciare ulteriormente la formula maggioritaria e sottolineare nuovamente il potere dei partiti. Detto questo, bisognerebbe mettere a fuoco che probabilmente la soluzione presidenziale non appare più un «mito palingenetico» (come l’ha chiamata Mauro Calise nel volume curato da Ilvo Diamanti e Marc Lazar Stanchi di miracoli. Il sistema politico italiano in cerca di normalità). Anche in Francia il modello presidenziale viene ridiscusso, tanto che il sociologo Michel Crozier ha segnalato le distorsioni intrinseche in un sistema che consente certo la decisione politica, anche quelle autodistruttive come il coup de poker con cui Jacques Chirac ha sciolto l’Assemblea nazionale finendo per consegnare il potere ai socialisti di Jospin; ma poiché la decisione politica avviene in un «ambiente» sociale che non riesce a trasmettere il comando (perché poco strutturato, privo di corpi intermedi) la risposta ricorrente è l’insurrezione di piazza, la rivolta fragorosa dei ceti investiti dalle misure del governo. Oggi in Italia diversi fattori giocano contro riforme istituzionali incisive. La stabilizzazione politica, i risultati macroeconomici ottenuti dal governo, la prevedibile durata dell’esecutivo attuale attenuano la sensazione di urgenza. Prima che la riforma della Costituzione venga considerata poco più che una scorciatoia per ottenere ciò che la politica per prove ed errori può invece ottenere da sola, vale la pena di misurare da vicino la distanza fra le «ideologie» costituzionali di casa nostra con l’esperienza istituzionale effettiva della Repubblica francese.

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