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PROVA DEL FUOCO A PRIMAVERA

18.02.1997

Con il decreto che fissa le elezioni amministrative per il 27 aprile finisce il balletto sul posticipo del voto. Se l’intenzione del Pds, di Forza Italia e dei Popolari era quella di spostare in autunno il confronto elettorale per evitare il riflesso sulla Bicamerale di uno scontro politico acuto, bisogna dire che la firma del ministro degli Interni sembra sintetizzare un’altra sconfitta, dopo l’incidente che ha affondato miserevolmente la legge Rebuffa, del «partito dell’accordo», quello che ha per capi D’Alema e Berlusconi. A prima vista si direbbe che siano state prese le debite precauzioni perché il danno non sia troppo grave: la stessa scelta sul calendario di una data «alta» sembra studiata affinché i risultati del 27 aprile e del successivo ballottaggio lascino poi il tempo perché la Commissione dei Settanta possa cominciare a votare i progetti istituzionali avendo già assimilato l’esito delle amministrative. Eppure una scelta in sé neutra e lineare come il «non rinvio» delle elezioni contiene una quantità di elementi che fanno invece pensare che il gioco si è improvvisamente irrigidito, e che in molti hanno qualcosa da perdere dalla soluzione raggiunta. Perché in questo momento una campagna elettorale è un’incognita, e votare può far male. L’unico che in apparenza ne potrebbe trarre qualche vantaggio è il Pds, che può fare leva su una decorosa prestazione elettorale dei sindaci di centrosinistra, e che comunque grazie alla separazione delle scadenze elettorali vedrebbe ridotto nella portata un eventuale risultato negativo. Ma questo vantaggio politico è più che bilanciato dal fatto che l’intesa istituzionale tra Berlusconi e D’Alema, quella su cui si reggono la Bicamerale e ogni ipotesi riformatrice, viene esposta a una battaglia politica presumibilmente tutt’altro che morbida, con tutte le insidie che ciò comporta. Senza contare che l’approssimarsi del voto tende fisiologicamente a provocare una saldatura del Pds con Rifondazione comunista, aggiungendo ulteriori fattori di disturbo alla solidità e all’equilibrio dell’asse «istituzionale» del Pds con Forza Italia. Nel centrodestra l’effetto negativo delle elezioni può essere anche più appariscente, dato che c’è sicuramente una rilevanza politica di questa consultazione amministrativa, a cui tuttavia il Polo appare largamente impreparato. Se consideriamo le due città più importanti in cui si voterà, Milano e Torino, che avranno anche un sicuro valore simbolico, il centrodestra non ha ancora definito le sue candidature e sembra procedere alla ricerca di soluzioni estemporanee, fra grandi rifiuti e alternative impossibili. Inoltre si potrebbe sospettare che le elezioni del 27 aprile possano diventare anche il laboratorio per sperimentare il futuro del Polo: e soprattutto che questo futuro sia tutt’altro che facile, e che gli esperimenti possano risultare dolorosi. Come minimo, le prossime amministrative mettono Forza Italia di fronte al dilemma di come comportarsi con la Lega: deve inseguirla malgrado l’isolamento dichiarato da Bossi? Oppure mantenere rigorosamente il rapporto con Alleanza nazionale sfidando la possibilità di perdere in tutto il Nord? Sembrava tutto quasi sistemato, l’accordo istituzionale vicino, quello elettorale a portata di mano. E invece ora ricomincia la turbolenza politica. Il 27 aprile comincia quindi ad apparire come la prova del fuoco per la buona volontà riformatrice di D’Alema e Berlusconi. Per vedere qualcosa di positivo occorre quindi ricorrere al principio della necessità trasformata in virtù: se la loro intesa reggerà ai numerosi imprevisti della campagna elettorale, vorrà dire che era di qualità superiore alle previsioni.

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