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QUEL CERTO RAGIONEVOLE PESSIMISMO

08.09.1997
Ulivo e Rifondazione

A dispetto delle rassicurazioni con cui ieri a Cernobbio Walter Veltroni ha parlato delle prospettive del governo, rispondendo a Cesare Romiti, e della situazione politica, per ciò che attiene ai rapporti con Fausto Bertinotti, non ci sono in realtà troppe ragioni per essere ottimisti. Negli ultimi giorni infatti si è osservato un cambiamento di segno, dapprima appena accennato, poi sempre più netto. C’era una fiducia diffusa (sebbene le ragioni di questa fiducia non siano mai state chiarite), mentre oggi crescono soprattutto le inquietudini. Si era pensato infatti che restasse un solo vero ostacolo sulla strada del governo, cioè la trattativa sullo stato sociale, e che seppure tra mille difficoltà contingenti, Prodi avrebbe portato a casa un risultato positivo. Si trattava solo di una prova di pazienza, la cui conclusione avrebbe poi permesso a Prodi di consolidare la propria posizione e di qualificare il governo attuale come un esecutivo di legislatura. Ora questa prospettiva si è incrinata per la più classica, prevedibile e autocensurata delle ragioni: vale a dire per l’opposizione di Fausto Bertinotti a una riforma del welfare a base di tagli. Ecco allora il governo in difficoltà: non può permettersi di accontentare Bertinotti con un compromesso sfilacciato, perché ne andrebbe della sua credibilità europea; ma non ha neppure gli strumenti per premere con successo su Rifondazione comunista, che già una volta, sulla spedizione in Albania dimostrò empiricamente di saper fare corrispondere gli atti alle parole. Quindi Prodi avrebbe una sola possibilità: esercitare la pressione più forte possibile sui neocomunisti. Ovviamente, l’unica minaccia davvero efficace è quella delle elezioni anticipate: in modo da sfidare il leader di Rifondazione a rendersi responsabile di una crisi molto grave, tale da mettere a repentaglio l’approdo europeo del Paese, e nello stesso tempo ad abbattere la sinistra al governo assumendosene l’immediata responsabilità davanti agli elettori. Alternative non ce ne sono. Non è in sé un’alternativa realistica l’ipotesi che sul tema politicamente vincolante della riforma dello stato sociale il Polo offra il sostegno per superare quelle che Berlusconi ha chiamato le «bizze estremiste» ddi Rifondazione. A prima vista poteva apparire allettante la possibilità di giostrare utilmente fra Bertinotti e il Polo, replicando su scala decuplicata il caso dell’Albania. Ma questa ulteriore reincarnazione delle larghe intese mostra una quantità troppo elevata di difetti costitutivi. Innanzitutto, per quanto abile e tempista, l’apertura di Berlusconi al governo è più che altro un segno della debolezza del Polo e dell’assenza di una linea coerente: oggi il centrodestra offre disponibilità così non troppi mesi fa praticava animosamente l’aventinismo. Per il centrosinistra, poi, il soccorso berlusconiano equivarrebbe al riconoscimento di una sconfitta politica: infatti sul piano generale equivarrebbe al fallimento dello schema bipolare, e dunque al ritorno al trasformismo, malattia italiana storica, mentre sul piano del risultato politico di breve termine consegnerebbe a Bertinotti (oltre che a Bossi) il ruolo privilegiato di grande oppositore al nuovo compromesso storico. Siamo quindi alle prime battute di una partita molto difficile, resa ancora più complessa dal fatto che nessuno fra i protagonisti possiede la bacchetta del comando, quella che al momento utile consente di sciogliere le situazioni in modo congruente alla propria volontà. Ed è per questo che gran parte delle mosse delle prossime settimane saranno condotte con l’attenzione rivolta alle sensazioni e agli umori di un protagonista che questa bacchetta la possiede e che in questo momento rimane nell’ombra: proprio lui, l’inquilino del Colle, il presidente della Repubblica. Perché non è un segreto che per sfidare Rifondazione comunista con spregiudicatezza, per mettere Bertinotti con le spalle al muro, Prodi ha bisogno di una sponda nel Quirinale: gli serve cioè che la prospettiva di un’eventuale crisi politica incorpori fin dall’inizio il via libera presidenziale alle elezioni anticipate. In caso contrario, con uno Scalfaro che si mostrasse incline a completare dal centro, con intese ampie e politicamente generiche, gli accordi sulle riforme costituzionali e il processo di riaggiustamento economico, Prodi risulterebbe sostanzialmente disarmato. La posta in gioco è rilevante. Se si immagina che il capo dello Stato sia psicologicamente ostile alle elezioni anticipate (del resto lo ha già dimostrato negandole al Polo all’epoca del ribaltone) conviene prepararsi a una contrattazione estenuante, nel tentativo di portare Bertinotti a un negoziato punto per punto. Tutto sotto il segno della perfetta incertezza, senza sapere quale risultato uscirà. E forse perfino se ci sarà un risultato.

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