Il centro rinasce dalle proprie ceneri quasi ogni settimana. Menti pensose segnalano l’inadeguatezza dello schema bipolare così com’ è: figuriamoci, avevamo chiesto due partiti d’ azione, uno di qua e uno di là, l’illuminismo al potere, e ci ritroviamo due schieramenti assolutamente senza qualità. Ora, sarà pur vero che i due poli fanno pietà, ma c’ è anche da dire che il bipolarismo sinora ha funzionicchiato, altroché. La macchina bipolare ha fatto sentire i suoi effetti il 27 marzo 1994, alle amministrative del 1995, alle politiche del 21 aprile 1996. Strana vicenda, dunque, quella della nostalgia del centro. Perché in realtà il problema cruciale della politica italiana non è l’assenza del luogo nirvanico di tutte le moderazioni, bensì la presenza di tensioni estremistiche e sostanzialmente antisistema. Fra la Lega, Rifondazione comunista e la Fiamma di Rauti c’ è un quinto dell’elettorato che sceglie soluzioni oltranziste. Per questi elettori, e per la massa dei non elettori, il centro deve significare poco. Per gli altri, chissà. A quanto si è visto finora, il sistema maggioritario risulta piuttosto divertente proprio perché consente di esprimere quel leggero odio, quel sostanziale disprezzo antropologico di una parte verso l’altra che è connaturato alla politica, il piacere quasi fisico di assistere alla sconfitta dell’avversario e al risarcimento aristocratico di concepire la vittoria altrui come la prova regina della stupidità di un popolo. E invece, dopo il 21 aprile, sono ricominciate le manovre. Ha cominciato subito Lamberto Dini, lanciando esche al duo Casini-Buttiglione, e introducendo così una primissima turbativa nel processo politico. Perché razionalità vorrebbe che il centrodestra, sconfitto soprattutto dal proprio incredibile suicidio politico, approfittasse dello stare all’ opposizione per rettificare utilmente la sua proposta politica, scegliendo finalmente fra la propria anima liberal-moderata, cioè Forza Italia e Ccd-Cdu, e la destra socialautarchica di Gianfranco Fini (non c’ è alternativa, dato che le teorie degli hezbollah del turboliberismo alla Antonio Martino sono tutt’ al più esercitazioni accademiche, eccitanti culturalmente ma politicamente inutilizzabili). Subito dopo le equivoche iniziative di Dini si è assistito allo spettacolare giro di consultazioni di Antonio Di Pietro, che ha visto praticamente tutti, da Tremaglia a Prodi passando per Mastella, per poi incontrare Fini, e magari rivedere Prodi… Anche i minuetti dell’ ex pm di Mani pulite rappresentano una specialità molto italica: ed è piuttosto curioso lo stile di Di Pietro, che si richiama di continuo a eleganti criteri di coerenza e di trasparenza, ma poi si dedica a pratiche che inducono ai cattivi pensieri, cioè all’ idea, certo volgarissima, che stia trattando la cessione della propria popolarità al miglior offerente. Per gli ingenui, quelli che hanno votato rispettando la famosa logica del maggioritario, risulta perfettamente incomprensibile l’attività di una figura pubblica che non dice definitivamente né che cosa è, né da che parte sta. Al punto che proiettando a paradigma l’agitarsi di Di Pietro, affiora con nettezza la sensazione che la questione del centro sia soprattutto un problema di classi dirigenti che si sentono espropriate dal controllo del potere in seguito al più immediato esercizio democratico imposto dal maggioritario. Il fatto è che la democrazia duale, se completata, taglierebbe alla radice gran parte delle opportunità trasformistiche su cui si sono addestrati burosauri e boiardi, élite di Stato e personale parapolitico, insomma il ceto che affollava le foto di gruppo della Prima repubblica. Rimarrebbe soltanto la possibilità di ciò che i tecnici della politologia chiamano "bandwagoning", cioè il salto sul carro del vincitore: che però si può fare una volta, massimo due, come si è visto con Berlusconi e Fini e si comincia a osservare ora con Prodi e D’ Alema; poi diventa un’acrobazia poco dilettevole fra l’utile e il grottesco. E’ per questi segmenti di establishment che il "terzo partito" costituisce un miraggio voluttuoso, anzi una risorsa potenzialmente troppo attraente per essere lasciata cadere: permette di restare fuori dai rischi della trappola bipolare, di mantenere all’ interno di una specie di eterna Repubblica dei migliori, un intreccio di solidarietà e patti di lealtà non scalfibili dalle oscillazioni della politica. Il tutto senza tradire la lettera della democrazia dell’alternanza: di volta in volta, il centro sceglierà consapevolmente l’opportunità più vantaggiosa, a destra o a sinistra, nel nome della razionalità, del servizio allo Stato, della governabilità, della ministerialità, del nostro bene. E non parlategli di trasformismo, perché si offendono. La responsabilità della persistenza del centro è sempre e comunque l’inadeguatezza politica degli altri. Chi fa centro lavora anche per noi ingrati.
09.05.1996
ATTUALITA' ITALIA
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