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RIFONDAZIONE ALL’ULTIMA SPIAGGIA

13.10.1997

E ora si vanno a vedere le carte. Per gli scettici, la riapertura di Rifondazione al governo era un espediente per prendere tempo. Con il passare dei giorni, infatti, perde consistenza la prospettiva delle elezioni anticipate, cioè l’elettrochoc contro la crisi «pazza», la terapia scelta da D’Alema e brandita soprattutto da Prodi. Si sa infatti che il presidente Scalfaro è ostile all’interruzione della legislatura. Che l’Ulivo sia tutt’altro che compatto verso le urne non è un segreto. Ci vuole poco dunque a sospettare che l’ultimo gesto di Bertinotti fosse una mossa dilatoria, uno spicciolo di politica da puntare cinicamente sull’ultima roulette ancora aperta per guadagnare tempo. Ma una ricostruzione del genere trascura un aspetto significativo: con l’ultima crisi, il prc era ormai una formazione politica residuale. Ciò che si è consumato negli ultimi giorni e che ha portato alla caduta del governo è stato un sacrificio mortale: Rifondazione ha fatto cadere l’esecutivo ma così facendo ha prefigurato la propria virtuale scomparsa politica. Fra tutte le soluzioni a cui può condurre questa crisi, infatti, a parte la ricostituzione della maggioranza precedente, non ce n’è una che contempli una sopravvivenza significativa del prc: il voto anticipato darebbe ai neocomunisti una rappresentanza modestissima, non molto oltre il «diritto di tribuna»; un governo di larghe intese favorirebbe una legge elettorale in grado di tagliare fuori le componenti irriducibili del sistema politico. Sulla rottura con il centrosinistra, quindi, Rifondazione ha giocato tutto, la propria rilevanza politica e gran parte del proprio futuro. Lo ha fatto sul filo della disperazione, altro che per narcisismo. D’Alema aveva trattato il prc come una corrente di minoranza del vecchio Pci, negoziando l’accordo con la Cgil e pensando che il centralismo democratico alla fine avrebbe prodotto la convergenza «unitaria». Rifondazione ha avvertito una minaccia gravissima alla propria integrità di partito, e ha fatto scattare la propria reazione: nichilista, incompatibile con la modernità, irriducibilmente massimalista, ma dettata da un istinto insopprimibile. Alla fine il confronto che si riaprirà fra l’Ulivo e il prc è un faccia a faccia ancora drammatico, ma rappresenta anche l’unica opportunità di sopravvivenza per Rifondazione. Perché l’esplorazione di convergenze tardive sugli stessi temi ritenuti non negoziabili pochi giorni fa è un crinale strettissimo per ritrovare una casa fra le elezioni anticipate e il governo di garanzia europea. Non va trascurato poi che in diversi settori del centrosinistra si era diffusa la sensazione che la rottura con Rifondazione era senza dubbio catastrofica per l’esperienza di centrosinistra, ma costituiva un ulteriore elemento di semplificazione: in ogni caso scompariva per la sinistra la necessità di mediare con un’altra sinistra irriducibile; nell’immediato, ci si toglieva pure il pensiero di dover sostenere una legge finanziaria «socialista», contrattata fino a risultare molto mediocre. È possibile perciò che il sentimento che fa da sfondo alla ripresa della trattativa non sia solo il sollievo per lo scampato pericolo, bensì anche una certa rassegnazione: che si tratti del governo di programma a scadenza annuale evocato da Bertinotti o di un’intesa tattica e precaria, si torna a una vita da separati in casa. Giuliano Amato aveva posto in luce che al di là dell’oltranzismo di Bertinotti c’era un oggettivo deficit di capacità riformista nell’Ulivo. Ora potrà anche darsi che la finanziaria passi senza troppe altre concessioni ai neocomunisti. Ma ciò che viene da chiedersi riguarda il futuro della coalizione: si era già visto che i grandi programmi avevano partorito misure modeste. E allora? Una volta «viste» le carte di Rifondazione, e magari trovato un accordo, che cosa potrà programmare in un anno il governo cosiddetto di programma? Forse niente più di una blanda routine. E dunque si tratterà di non farsi ingannare dai sorrisi, se l’accordo verrà effettivamente conseguito e se il governo Prodi potrà reincarnarsi in se stesso. Sopravvivere politicamente è un risultato importante, ma sopravvivere per consegnarsi all’immobilismo equivarrebbe a un’altra battuta d’arresto, forse più pericolosa, nel medio periodo, della rottura stessa.

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