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VELASCO IL SAGGIO

26.07.1996
SPORT
FUORI PISTA

Un concorso per stabilire chi è l’homo televisivus delle Olimpiadi? Julio Velasco è certamente in prima fila. Manageriale, elegante, capace di parlare un italiano solo lievemente esotico, il profeta venuto dall’Argentina è riuscito nel miracolo di vincere senza farsi silenziosamente detestare. Forse la ragione di questo prodigio dipende dal fatto che è rimasto al suo posto. Si è messo tappi di cera e ha rifiutato la candidatura dell’Ulivo. Ha dribblato l’ipotesi fantascientifica di allenare il Milan. L’unico cedimento extraprofessionale è stato un articolo per la rivista-laboratorio della sinistra MicroMega. Perché Velasco ha sempre lasciato trasparire qualcosa di sé, ma rivelando molte sfaccettature. Ha sempre alluso a simpatie politiche di sinistra, ma unite a un culto della libertà e a una religione della responsabilità che lo hanno reso gradito anche a destra. È stato preso in giro una sola volta, in un fumetto di Cinzia Leone su Comix, in cui alla fine la taxi girl Lola rifiuta il pagamento della corsa dicendo: «Regali qualcosa a sua moglie da parte mia. Deve essere una donna in gamba per sopportare tutta questa saggezza». Julio sa che l’emozione più forte è una passione fredda, controllata, che divora senza bruciare. Solo di rado il Velasco-pensiero si concede immagini forti: «L’Olanda dobbiamo prenderla a morsi». L’unica stranezza è che un tipo così abbia voluto diventare italiano anche sotto il profilo legale. Deve averlo fatto per poter fare risaltare meglio il tratto di differenza che lo distingue da noi. Noi che siamo vittime di quella che lui ha definito «cultura dell’alibi», che trovano sempre una scusa per le sconfitte nella fisiologia, nella mancanza di palestre, nell’arbitro, nel malvolere altrui, nella sfortuna, nel destino cinico e baro. Lui invece osserva le dinamiche della palla e degli uomini, e vede una razionalità superiore, un’infallibile consequenzialità. Spiega le vittorie (molte) e le sconfitte (poche) come il risultato di successioni inevitabili, previste, codificate. Stando così le cose, Velasco è inattaccabile. Non si può competere con la perfezione. E quando gli italiani del volley verranno battuti, ci guarderemo l’un l’altro in faccia, contriti. Perché sarà stata tutta colpa nostra, in campo e davanti alla tv. Chineremo il capo e diremo timidamente, ammettendo la colpa: «Ci perdoni, Velasco».

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